D ifficile azzardare una rubrica arguta o anche soltanto lieve e parlare d’altro – la politica, l’amore, il padel - nel giorno in cui la Russia lascia di stucco anche i più pessimisti. Ed è altrettanto difficile parlare dell’invasione, il grande argomento che da ieri monopolizza l’attenzione di tutti, dalle redazioni degli almanacchi di geopolitica agli avventori dei bar di quartiere. Nelle scorse ore tutto è stato detto e nelle prossime tutto verrà ribadito insieme al proprio contrario, con saccenteria e assertività inversamente proporzionali alla competenza di chi parla, ma in realtà la gran parte di chi osserva gli avvenimenti, compresi i commentatori, avrà un approccio più emotivo che analitico, ed è abbastanza naturale che sia così. Poi naturalmente c’è emozione ed emozione. Si può puntare sulla speranza che l’Europa, dopo aver imparato dal Covid a fare cassa comune, impari dalla guerra a darsi una politica estera condivisa. Oppure ci si può scompisciare all’idea che a poche ore dall’invasione Di Battista si affacciasse dai social per escluderla. La scelta ancora una volta è fra magnanimità e meschineria. (Resta il margine per una perplessità: dopo aver dato fondo al vocabolario guerresco per raccontare il Covid, ora che c’è da raccontare una guerra come ce la caveremo?).

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