La città dei suicidi
I talcarcere è una città italiana di circa 60 mila abitanti, nella quale ogni tre giorni una persona si uccide. Nell’indifferenza quasi totale di chi abita nelle altre città. I media ogni tanto ne danno notizia, ma con scarsa evidenza. Italcarcere è una città diffusa, i suoi quartieri sono sparsi in 192 siti chiamati “istituti di pena”. Locuzione agghiacciante. Il carcere dovrebbe essere un purgatorio dove si sconta una colpa e si coltiva un’aspettativa di riscatto, non un luogo di tortura. Non un inferno senza speranza. A chi ha commesso uno o più reati viene tolta la libertà, il bene più prezioso dell’uomo, la sua ragione di vita. Questo, e solo questo, dovrebbe essere il castigo, non altro. Il condannato dovrebbe abitare in una stanza, non in una cella, termine di per sé spaventoso, che ricorda gli alveari. Il sovraffollamento dei penitenziari italiani ha superato il 130 per cento, con punte del 200 a Milano e Brescia: 100 detenuti stipati dove ce ne stanno 50. Persone ammassate, con poca aria, gelo d’inverno, caldo soffocante d’estate, spesso tra cimici e topi. Diritti umani violati. Il detenuto è un numero anziché una persona. In questa condizione di perenne afflizione il recluso cerca nell’oltrevita la fine della sua pena. Crede che sia l’unico modo per ritrovare la libertà perduta. In uno Stato civile non deve esistere la città dei suicidi.