I n un intervallo del Festival di Sanremo Mattarella ha giurato fedeltà alla Repubblica e alla Costituzione. Per non interferire con il rito e la liturgia del pontificale laico officiato dal lustrinato Amadeus, la cerimonia si è svolta fra le tre e le cinque di un sereno pomeriggio romano. Soltanto i maratoneti del teleschermo hanno seguito la solennità con devozione. Gli altri, dopo la lunga e assordante sagra canora, hanno preferito una pennichella. Ogni puntata del Festival, per evitare una collettiva crisi d’astinenza, si protrae senza soluzione di continuità da un giorno all’altro invadendo telegiornali e spazi pubblicitari. Il Tg1, nell’edizione delle 13.30 di giovedì scorso, tra un Draghi e un Salvini, una crisi ucraina e una strage, è stato farcito con quattro siparietti sanremesi: in tutto quasi metà del notiziario. Soltanto di straforo è stato annunciato l’imminente discorso di Mattarella. Che, un’ora e mezzo dopo, ha lanciato al Parlamento e al Paese un accorato messaggio, il più alto da lui mai pronunciato. Ma con una grave pecca: non ha ricordato il valore psicoterapico del Festival. Vi ha posto rimedio il giorno dopo telefonando dal Quirinale al divino Amadeus. Bergoglio docet. Sergio II si è già adeguato al moderno stile pontificio. Il suo secondo papato comincia bene.

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