M atteo Renzi più che “Il Mostro” che ammette di essere nell’ultimo suo libro di “inchieste, scandali e dossier” interpreta il ruolo del Renzo di Manzoni che entrando a Milano nei giorni della peste viene scambiato per un untore e cacciato via. Enrico Letta nella nave Pd ha imbarcato “oves et boves” nel tentativo di strappare voti alla destra della super favorita Giorgia Meloni. Ci ha infilato Calenda e Di Maio, il verde Bonelli e il comunista Fratoianni, ma al canticchio “vengo anch’io” di Renzi, risponde “no, tu no”. Nel segretario Pd c’è forse una parte sarda che non gli fa dimenticare lo strappo della campanella del potere. Allora sguardo basso e occhi tristi, preceduto e accompagnato da quel “vai sereno” che più che a Parigi lasciava all’immaginazione collettiva intendere altre destinazioni. La ruota però gira, oggi le carte in casa Pd le dà Letta che non mostra più lo sguardo triste da bulldog ferito ma gli “occhi di tigre”. Non è Sandokan e Calenda non è lo Yanez de Gomorra il “pirata” in seconda che lo scrittore Emilio Salgari nei suoi romanzi descrive come l’ombra che sta appiccicato alla “tigre”. Se Letta è tigre Renzi è falco pellegrino, l’uccello che piomba quando meno te l’aspetti, temuto da tanti e amato da pochi. Se becca oltre il 5 per cento volerà alto come un falco mentre Letta rischia di tornare un bulldog triste.

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