D a otto mesi c’è aria nuova a Palazzo Chigi. Il Consiglio dei ministri è stato sostituito da un Consiglio di amministrazione. La Ditta Italia è passata da un annunciato fallimento a un probabile utile d’esercizio. L’amministratore delegato ha il piglio e il comportamento dell’amministratore unico. Il Drago non lancia fiamme anche se farlo è nella sua natura. Tanto basta però per intimorire e anestetizzare quelli che prima del suo avvento si chiamavano ministri. Seduti o in piedi accanto a lui sono composti e disciplinati come funzionari di Bankitalia. Non tutti sono eccellenti, alcuni sono mediocri, altri addirittura scarsi. Agli azionisti, che una volta si chiamavano partiti, ha dovuto dare un contentino: un Di Maio qui, una Lamorgese là, un filo di Speranza. Tanto poi, a carte perse, interviene lui. È un Drago dallo stile sobrio nelle parole e nei modi, elegante nel portamento, essenziale nelle decisioni. È nato a Roma, ma il suo Dna è britannico. Ha una grazia regale appena imborghesita da una leggera mimica facciale giocata tra labbra strette e occhi cerchiati. È un anti Conte. I partiti di sostegno litigano fuori dal Palazzo, ma lui non vi fa caso. Tanto, poi, votano tutti insieme ai suoi ordini. Come scimmiette ammaestrate. Meglio così. Però la democrazia ha imboccato un vicolo cieco.

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