N on c’è più bisogno di essere bolognesi per capire la parola umarèll: da due anni è nello Zingarelli e ormai anche qui la usano in tanti per esprimere il concetto di “anziano sfaccendato che, mani dietro la schiena, osserva i cantieri pubblici”.

Sarà quel diminutivo pieno di condiscendenza – umarèll sta per omino – o il tono col quale viene adoperata, ma questa parola ha una sfumatura paternalista fastidiosa e sbagliata. Perché l’umarèll è il vero testimone di come cambia la città, e soprattutto di quando cambia. Via Roma chiusa, per dire, è una solenne scocciatura per molti. Ma oltre ogni dibattito sulla bontà del progetto e sui disagi che crea, ieri c’era anche un aspetto poetico in questo vialone di solito sovraffollato di lamiere trasformato in un immane campo di bocce, in una pista da bowling titanica. Così era Villanova quando la inibirono al traffico e ai parcheggi per rifare la pavimentazione: pareva che una magia avesse raddoppiato e zittito le strade, era il set di uno spaghetti western in attesa del regista. È quello stupore che su scala gigante abbiamo provato nelle città congelate dal lockdown. Ecco, quei trascurabili momenti di rivoluzione li assaporano solo gli umarèll. Chiamiamoli sentinèll, magari. E ogni tanto proviamo anche noi, lasciando l’auto parcheggiata al corno della forca, a tenere le mani dietro la schiena. Magari ci scopriremo un po’ poeti.

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