L a propaganda ideologica si serve sempre più dell’arte del fotomontaggio. Mettete nello shaker-computer un Putin imbronciato, un paio di baffetti sottonasali, una parrucca scura con discriminatura a destra, occhi indolenti, rughe quanto basta, e agitate. Versate il miscuglio nei contenitori universali del web e servite con una spruzzata di ironia e sottintesi. È l’ultimo cocktail fotografico alla moda. Si chiama Putin-Hitler. Da due mesi, con varianti diverse come fosse un Covid, compare su giornali, schermi televisivi e social. È un messaggio grafico potente, che la sinistra internazionale, dagli Usa all’Europa, fa viaggiare con la velocità e la persistenza ripetitiva della comunicazione moderna. Vale più di tanti articoli di fondo e ha il vantaggio della percezione immediata. Il suo significato è chiaro: Putin non è un comunista di ritorno, è un nazista di nuovo conio. Ha la sete di potere, la fame di conquista, la ferocia di Hitler. Il demonio non è mai rosso, è sempre nero. Un comunista non aggredisce un popolo libero; tutt’al più lo salva da derive interne: come fecero con animo filantropico Krusciov e Breznev quando con carri armati andarono in soccorso di Ungheria, Cecoslovacchia e Polonia minacciate dal virus mortifero della libertà. Come oggi in Ucraina il loro emulo Putin-Stalin.

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