L a differenza tra i cosiddetti cold case, quelli mai risolti e anche quelli chiusi ma poi ridiscussi da improvvise perplessità investigative, la fa il grado di decomposizione dei loro tessuti giudiziari e mediatici, come fossero dei corpi. Dei più antichi - la sparatoria alla cascina Spiotta e la strage di Brescia - oltre alla memoria del sangue versato è come se fosse rimasto lo scheletro, solenne ed essenziale: testimonianze e verbali d’epoca e foto in bianco e nero da rivalutare, e ricostruire il contesto sta agli storici. Verso quelli di una ventina d’anni fa - Erba, da poco riesumato per l’infelice richiesta di revisione, e ora Garlasco - l’atteggiamento è meno sobrio. La memoria è più viva e più che il contesto storico a volere attenzione è il suo cuginastro pop: il colore giornalistico. E così ieri si rimasticavano le gemelle Cappa e il loro errore frivolo di impapocchiare un fotomontaggio insieme alla cugina uccisa. Ora spunta (peraltro: perché ora?) un loro sms su Stasi «incastrato»: ok, giusto capirlo e soppesarlo. Ma intanto sui giornali le sorelle c’erano già da prima in quanto “quelle del fotomontaggio”, coi miniabiti rossi e i sorrisoni incongrui. Hai voglia a dire che da tempo fanno altro, sono altro, vivono un’altra vita, mica hanno passato vent’anni a photoshoppare. Per i reati c’è il diritto all’oblio, sbagli e gaffe invece non si prescrivono. Sarà anche inevitabile ma suona cannibale.

© Riproduzione riservata