S e il dio dello sport italiano esistesse sarebbe un tipo strano.

Non solo perché a suo tempo ci appioppò Tavecchio (lo avevate dimenticato, vero?) ma soprattutto perché con queste meravigliose Olimpiadi si sta divertendo a far uscire di testa la minoranza più reazionaria e gretta del Paese. Quella che detesta le differenze, quella che veste da complotti le proprie paure, quella che aspetta i grandi eventi sportivi per camuffare da patriottismo pop il proprio nazionalismo sfigato. Come fa un fascio a esultare per Lucilla Boari, che dedica il suo bronzo nel tiro con l’arco alla fidanzata? O per il buonista Tamberi, che anziché esasperare la competizione spezza il pane olimpico con l’avversario venuto dal Qatar e lo abbraccia? E Jacobs quanti ne avrà mandati in tilt con l’accento di Desenzano, il certificato di nascita texano, la carnagione ambrata e un oro nei 100 metri che lo consegna alla storia molto più che alla geografia? E ieri poi la ciliegina sulla torta di Stano, il pugliese musulmano che trionfa nella 20 km di marcia.

Se il dio dello sport italiano esistesse sarebbe un’ottima notizia.

Anche perché le divinità generalmente fanno le cose a puntino, e perciò prima della fine dei Giochi avremmo altri tre olimpionici da festeggiare: un ebreo, un comunista e un virologo.

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