U n tempo l’indicazione “detto” sulla scheda serviva davvero a far individuare un candidato: senza quella specificazione molti elettori avrebbero cercato invano sui manifesti elettorali Marco Pannella, inconsapevoli che all’anagrafe fosse Giacinto. Però tutti gli elettori di Giorgia Meloni sono al corrente che si chiama Giorgia Meloni, per cui quel “detta Giorgia” non serve a risolvere alcun dubbio bensì a creare il brand populista di una premier de noantri, una potente che non si è montata la capoccetta e infatti tutti la chiamano per nome perché è di casa. Quindi dietro c’è un calcolo di marketing sofisticato – o almeno ambizioso – inversamente proporzionale a quanto di domestico e ruspante c’è nell’effetto che si cerca. Lo stesso vale per il “detto Generale” di Vannacci e per il “detto Pavone” del quale vuol pavoneggiarsi Cecchi Paone, anche lui in corsa alle Europee: nulla che semplifichi la scelta all’elettore ma accorgimenti per rafforzare l’identità del candidato. E mentre veleggiamo verso un onnicomprensivo e onesto Detto Laqualunque che prima o poi qualcuno si aggiudicherà, fantastichiamo sulle prossime astuziette (“Detto Avversario dei poteri forti”, “Detto Amico degli umili”, “Detto Superman”) nella speranza che a qualcuno, nella smania plebeista, scappi un pizzico di verità. “Detto Nemico del congiuntivo” in alcuni casi suonerebbe benissimo.

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