Q uante volte vi è successo di piangere per le risate? Poche, forse mai. E di dire “Ti amo” a qualcuno? Altrettante, al massimo qualcuna in più.

Eppure quando rispondiamo a un whatsapp usiamo moltissimo la faccina che si sganascia e zampilla lacrime allegre, anche per reagire a un gioco di parole stupidino oppure a un meme che con tutta evidenza non è stato partorito da chi ce lo invia, che in realtà lo sta solo inoltrando.

Se avessimo potuto immaginare la comunicazione digitale prima del suo avvento, con tutta probabilità avremmo profetizzato che sarebbe stata essenziale, sincera fino alla severità, quasi binaria: bello-brutto, divertente-boiata. E invece è sintetica ma enfatica. Rapida e ipocrita. Ricorriamo a cuori e risatone per roba che dal vivo a malapena ci strapperebbe un sorrisino. Però se mandassimo una faccina con un sorrisetto composto, l’altro ci resterebbe male, la prenderebbe come una critica sgarbata.

Comunicare oggi è mille volte più facile che ai tempi della telefonata, così come la telefonata ha ridotto di mille volte i tempi rispetto all’epoca delle lettere. Ma le cose da dire non sono aumentate, soprattutto quelle significative. Quindi partecipiamo quotidianamente a un flusso di comunicazione da un lato molto ipocrita, dall’altro molto kitsch. Cuoricini a tutti, e buona giornata.

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