I n Italia è in atto una controrivoluzione. Non è un Termidoro, ma quasi. Non abbiamo le grandi e tragiche figure della Francia giacobina, solo minuscole controfigure, che non sono meno inquietanti. La nostra rivoluzione non è stata di sangue, ma di manette. Non abbiamo un Robespierre da decapitare, abbiamo un’icona da abbattere. È quella del magistrato onnipotente: che travalica i suoi limiti costituzionali invadendo ogni campo sociale; che manifesta la sua appartenenza politica nell’esercizio dell’azione giudiziaria modificando i ritmi liturgici della democrazia. L’Ordine giudiziario è diventato Potere. Per gestirlo sono scoppiate lotte intestine. Ora i rivoluzionari si accusano tra loro. E cadono le teste. Le rivoluzioni, anche quelle che raggiungono lo scopo, divorano i loro figli. Con il senno di oggi, dopo che Palamara ha gridato che i re sono nudi, abbiamo la certezza che le mani pulite si sono mischiate alle toghe sporche. La metastasi impone l’uso del bisturi perché il tumore che l’ha prodotta è antico e maligno. Tanto che Giovanni Verga già 130 anni fa in una delle sue novelle scrisse sconsolato: «A questo mondo si sa che la giustizia si compra e si vende come l’anima di Giuda». La riforma Cartabia è per Giuda un confetto lassativo. Il referendum, forse, sarà un sale inglese.

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