O rmai si va in molti posti di lavoro come si va in guerra. Le cifre confermano l’emergenza: tre-quattro morti al giorno, agghiacciante. In Sardegna otto dall’inizio dell’anno, 369 in Italia nei primi cinque mesi: un massacro impunito e purtroppo in aumento, più 3,5 per cento. I sindacati moltiplicano le proteste, le amministrazioni assicurano una stretta sui controlli: parole. I cantieri dove il pezzo di pane si trasforma in lutto e dolore sono ancora troppi. Roberto Chelariu, di soli vent’anni, arrivato nella fertile Padania dalla Romania per guadagnarsi la pagnotta, è morto fulminato dai cavi elettrici tranciati scavando la terra con una benna. Nelle stesse ore un operaio tunisino ha perso la vita cadendo dal tetto nel grossetano e, a Santadi, Albino Giacomo Virgilio, 45 anni, è morto colpito da una chiave inglese. La statistica è assicurata, la sicurezza no. Le chiamano “morti bianche” quasi che questo disastro appartenga alla fatalità, alla sfortuna, alla causalità e non invece quasi sempre a persone irresponsabili che si sono venduti con l’anima anche i lavoratori. Lo Stato partecipa al dolore ma non fa niente per evitarlo. Mancano i controllori? Li assumano. Intanto elimini dagli appalti le aziende recidive e apra un libro nero che allerti i privati sui rischi che corrono. In un Paese normale i morti sul lavoro sono una piaga inaccettabile.

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