G ennaio 2020, il cronista osserva le serrande chiuse di un emporio cinese a Cagliari. I negozianti del vicinato hanno telefonato al giornale: «I titolari sono appena tornati dalla Cina, lì gira un’influenza assassina. Le autorità, all’imbarco dell’aereo per tornare in Italia, hanno intimato di chiudersi per due settimane nel negozio e di non parlare dell’epidemia». C’era puzza di “bufala”, ma non si sa mai: il pezzo, cauto, esce.

I contagi esplosero poche settimane dopo, ma era pandemia, non epidemia. Arrivarono le speculazioni, tra mascherine e banchi con le rotelle nelle aule scolastiche.

Ieri era la Giornata in memoria delle vittime del Coronavirus, che dal 2020 ha ammazzato tremila sardi più molti anziani che si salvarono, ma con danni risultati fatali negli anni seguenti. C’erano i negazionisti, nella fogna chiamata Facebook: l’epidemia non esiste, i vaccini uccidono, i giornalisti sono corrotti. Non una parola, però, su quel virus “costruito” e su come (e perché) fosse sfuggito di mano ai cinesi.

Cos’è rimasto? La presa di coscienza che la Sanità ha potuto contare sull’eroismo di medici e infermieri, non pochi finiti in una bara assieme a diversi no-vax e altri contagiati, e che l’Italia sanitaria era in grado di rispondere a un attacco tanto mortale. Cinque anni dopo, meglio non chiedersi se sia ancora così. Per non essere costretti a rispondersi.

© Riproduzione riservata