C ’è sempre una data da ricordare: la caduta del muro di Berlino, la giornata nazionale della Bandiera, quella della Memoria, i Patti Lateranensi, la difesa dell’ambiente, i Santi patroni, il primo maggio dei lavoratori, il 25 aprile della libertà, il 2 giugno della Repubblica. Tra parate militari e sindacali, puntualmente si perpetua la distribuzione di encomi e stelle al merito su segnalazioni di enti, ordini professionali e associazioni; molte sacrosante e altre gratuite quasi a confermare che il titolo di cavaliere in questo Paese non si nega a nessuno. Non è giusto. Le “stelle”, oltre a evidenziare le differenze tra il dipendente pubblico che sbadiglia e chi non si ferma al minimo sindacale, devono raccontare ai giovani uno Stato che riconosce meriti e sacrifici. Non basta aver trascorso quarant’anni dietro la scrivania, come non basta acciuffare due ladri da parte di chi per giuramento e stipendio (molto o poco che sia) è tenuto a farlo. La stella al merito va conquistata e riconosciuta non per appartenenza o colore di casacca. Nella vita si incontrano persone straordinarie che l’establishment dimentica: lo spazzino che pulisce la strada come casa sua, l’edicolante che resiste, la madre di famiglia amore e fatica, il volontario, l’impiegato che sorride. Un Paese normale premia chi tira la carretta e non chi sgomita per salirci sopra.

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