Saccargia, la voce del Romanico in Sardegna
Basta una curva, appena oltre la 131, per vedere la basilica della Santissima Trinità di SaccargiaPer restare aggiornato entra nel nostro canale Whatsapp
Non serve bussare: è la pietra a parlare. Basta una curva, appena oltre la 131, per vedere stagliarsi — nera e bianca come un presagio — la basilica della Santissima Trinità di Saccargia. Un’apparizione più che un monumento: scolpita nella memoria collettiva dell’Isola, incastonata tra fede, potere medievale e una leggenda che profuma ancora di latte.
Basta una curva, appena oltre la 131, per vedere la basilica della Santissima Trinità di Saccargia
Siamo a Codrongianos, nel nord-ovest sardo. La basilica di Saccargia — nome che affonda le radici in Sacraria, e non, come vuole la vulgata popolare, in s’acca argia, la “vacca pezzata”, è uno dei vertici assoluti del romanico pisano in Italia. Eppure, raccontarla come semplice capolavoro architettonico è riduttivo. Saccargia è anche teatro di dinastie giudicali, testimone di affreschi unici e scenario di racconti dove il sacro si mescola all’allegoria.
La sua fondazione ufficiale risale al 1116, ma l’origine è più stratificata. La leggenda — annotata nel Condaghe seicentesco che porta il suo nome — narra di un voto: Costantino I di Torres e sua moglie Marcusa, desiderosi di un erede, avrebbero trovato ospitalità tra le rovine di un antico santuario, allora custodito dai camaldolesi. Dopo la nascita del figlio Gonario II, i due sovrani avrebbero mantenuto la promessa: una nuova chiesa, una nuova abbazia.
La costruzione si articola in due fasi: prima l’impianto originale con absidi e transetto, poi — fra il 1118 e il 1120 — l’allungamento dell’aula, l’innalzamento delle pareti, la nuova facciata e l’inconfondibile campanile.
Architetti e maestranze toscane, in particolare pisani e pistoiesi, plasmarono un edificio che pare sospeso tra l’Umbria di San Bevignate e le visioni gotiche dell’Italia centrale. Ogni elemento — dai bacini ceramici incastonati agli intarsi a losanga, fino ai capitelli popolati da figure alate — trasuda un’estetica che è insieme spirituale e bestiale.
Alla fine del Duecento il portico fu aggiunto da artigiani lucchesi: sette archi, capitelli scolpiti, colonne decorate e animali fantastici che rincorrono simboli e paure. Su un pilastro, bovini accovacciati richiamano la leggenda della vacca che ogni giorno offriva latte ai monaci, inginocchiandosi in preghiera. Ma l’impronta è lì, incisa nella pietra.
All’interno, una navata sola, croce comissa, transetti voltati a crociera e absidi che ospitano statue e reliquie. Ma è nell’abside centrale che Saccargia svela il suo tesoro più raro: un ciclo di affreschi romanici eseguito a fine XII secolo da un artista umbro-laziale, miracolosamente integro. Scene della vita di Cristo, santi, una Madonna orante e un Cristo in mandorla, che dialogano con le pitture coeve di Galtellì, rendono questo spazio sacro anche per gli storici dell’arte.
La basilica, sopravvissuta a secoli di abbandono e restaurata a inizio ’900 da Dionigi Scano, è oggi parte della parrocchia di Codrongianos.
Ogni anno, nella domenica successiva alla Pentecoste, rivive nel rito della Trinità: processioni, poesia improvvisata, danze, suoni.