È pronta a dare una mano. Codici bianchi, pre triage, assistenza al medico, disinfezione ambientale, trait d'union fra pazienti e familiari. Non ha fatto i tirocini dunque non è ancora abilitata ma ha una laurea in Medicina (110 e lode, menzione e abbraccio accademico): in questa fase di emergenza potrebbe essere utile in ospedale. E come lei tanti altri. «Ma per qualche giorno ancora sono in quarantena».

Anna Filigheddu, 27 anni, è rientrata dalla Spagna dove vive la sorella maggiore: «Sto in casa con i miei genitori che hanno 67 anni e non volevo metterli a rischio». Così ha aspettato che le preparassero una sistemazione alternativa e soltanto allora ha preso un aereo da Madrid, la settimana scorsa. «In teoria dovrei iniziare i tirocini il 7 aprile». In pratica chissà.

La missione

Tutto è slittato perché ha deciso di fare la volontaria dopo aver discusso una tesi sugli effetti dei medicinali oncologici sul cuore delle pazienti malate di tumore al seno. «Sono partita per il Kenya, in una missione del Cottolengo di Torino all'ospedale di Chaaria». Dove è stata raggiunta da due suoi colleghi di Cagliari. «Abbiamo lavorato col personale del posto, non sono medici - lì c'è grande carenza - ma figure intermedie con gli infermieri». Ed è stato il battesimo sul campo. «Esperienza forte: ho imparato tantissimo, soprattutto mi sono messa alla prova. Ho scoperto come reagisco davanti a difficoltà ed emergenze. In Africa i mezzi sono limitati, ti devi adattare».

La pausa

Le hanno dato vitto e alloggio («dormivo in ospedale»), per il resto era volontariato puro. «La professione del medico è totalizzante e una volta che si comincia il tempo per se stessi è poco, così dopo la laurea mi sono presa qualche». Ed è andata in Africa per dedicarsi ai meno fortunati. Complimenti. Del resto, sta realizzando il suo sogno. «In verità all'inizio avrei voluto fare Veterinaria perché mi piacciono gli animali, ho quattro gatti». Ma poi, complice la televisione, ha cambiato idea. «Ero alle Elementari e su Italia Uno trasmettevano un programma dal titolo "Esplorando il corpo umano"». Lo guardava prima di andare a scuola e, in replica, anche al pomeriggio. «E poi mia sorella (undici anni più grande) è infettivologa e uno dei miei due fratelli è medico interno». Insomma, l'aria che si respirava era quella. Eppure nelle materie scientifiche non è mai stata fortissima. «Ho fatto il Classico e i voti migliori li avevo in Lettere, non ero brava neanche in Educazione fisica: ho fatto tanti sport ma diciamo che non ero portata».

L'America

Aveva un obiettivo: rendersi utile al prossimo. «Mi sono iscritta in Medicina e mi è piaciuto moltissimo. Il corso di studi è performante anche se si fa molta teoria e poca pratica rispetto al resto d'Europa. Recuperiamo dopo, ed è la nostra forza». Al quinto anno è andata negli Stati Uniti per un programma di scambio, il Globus placement al Presbyterian hospital della Columbus university. «E lì si vede la differenza tra studenti americani e italiani». In che senso? «Noi siamo più preparati dal punto di vista teorico: loro fanno quattro anni di corso (i primi due di College sono su materie generiche), noi sei. Però gli americani al terzo anno cominciano con la pratica, fanno interventi come secondo operatore». Gli italiani invece vanno in sala operatoria e guardano. «Per me è stato così anche in America, in mancanza di un'assicurazione da centinaia di migliaia di dollari». Ha fatto un tirocinio di osservazione. «Vedevo come lavorano i medici». Però gli studi cagliaritani sono serviti, e anche molto. «Il preside di Medicina, Andrea Figus, che ha lavorato a lungo in Inghilterra, sta svecchiando il sistema».

Il virus

Dopo la laurea è partita per il Kenya. «Ero lì quando si è cominciato a parlare di coronavirus, non c'era emergenza ma stavano già pensando di chiudere le frontiere con la Cina e i controlli erano serrati». Però non faceva paura, non ancora. «Tutti noi lo avevamo sottovalutato, non ne avevamo capito la portata. La sera a cena leggevamo le notizie dalla Cina e ci sembrava così lontana». Quando la pandemia è esplosa in Italia Anna Filigheddu era a Madrid dalla sorella Maria Teresa. «E siccome è infettivologa aveva valutato appieno la situazione e subito preso sul serio la questione. Mentre in Italia tutto peggiorava la Spagna prendeva ancora sotto gamba l'allarme, lei invece sensibilizzava i suoi colleghi affinché adottassero precauzioni. Raccontava in ospedale cosa si faceva in Italia. Le hanno dato ascolto, per fortuna». In pochissimo tempo anche la Spagna ha dovuto capire. «Ora lei sta curando i malati, ci sentiamo quotidianamente».

La disponibilità

Tornata a Cagliari vive in un piccolo appartamento di Castello: isolamento fiduciario. «C'è una bottega di quartiere che fa consegne a domicilio». Tra pochi giorni potrà uscire e si metterà a disposizione per dare una mano dove ce ne sarà bisogno. «Qui la situazione non è come in Lombardia dove hanno chiamato perfino gli studenti del sesto anno di Medicina. Ma noi neolaureati potremmo fare qualcosa in ospedale».

Finita l'emergenza inizierà i tirocini e poi penserà alla scuola di specializzazione. «Il mio sogno è Cardiologia». A Cagliari, anche se non le dispiacerebbe un'esperienza all'estero. Per poi tornare. «Ho la mia città nel cuore».

Maria Francesca Chiappe

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