"Da trent'anni, tutti i giorni, vivo con l'ansia, con la depressione, prendo psicofarmaci. Pure gli altri ce la dovevano fare, perché solo io? Non mi dò pace su questo".

A parlare, intervistato dal Tg1, è Alessio Bertrandt, unico superstite della tragedia della Moby Prince avvenuta 30 anni fa.

Appena salvato Bertrandt, all'epoca un mozzo di 23 anni imbarcato con lo zio, aveva urlato: "Dicevo restiamo qua, recuperiamo qualcun altro. Pure prima di andare nell'ambulanza al porto ero innvervosito. Dicevo 'aiutiamo gli altri, ci sono altre persone'".

Oggi, che di anni ne ha più di 50, vive a Ercolano con la moglie e i due figli. Non riesce a dormire più di tre ore a notte. Da quella tragedia non è mai più salito su una nave.

"Sentimmo il boato - ricorda -, uscimmo fuori, andavamo avanti e indietro senza sapere dove andare. Poi mi sono appeso a un corrimano aspettando qualcuno. Quindi mi sono buttato a mare e mi hanno preso due ormeggiatori, che mi hanno portato sulla motovedetta della Capitaneria di porto"

A una verità giudiziaria, sostiene, "si può arrivare, se indagano tutti quanti sì, bisogna farlo per me, per i miei amici, per mio zio".

L'ASSOCIAZIONE - "I reati non prescritti sono quelli di strage e la speranza è che il procuratore di Livorno trovi elementi per continuare le indagini e rinviare a giudizio i presunti colpevoli", si augurano Luchino e Angelo Chessa, a capo dell'associazione "10 aprile - Familiari/Vittime Moby Prince Onlus", pur consapevoli che il percorso è ancora "lungo e pieno di ostacoli".

"Da alcuni anni - osservano - la sensibilità intorno alla storia del Moby Prince è in costante aumento e interessa anche le autorità istituzionali e il mondo politico. A questo riguardo i familiari delle vittime ringraziano infinitamente il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, che ha manifestato la sua vicinanza".

(Unioneonline/L)
© Riproduzione riservata