Un sistema di tipo piramidale, prevalentemente composto da una famiglia e dai relativi parenti, sotto forma di cooperativa con sede legale a Teulada, finalizzato a ottenere in maniera illecita gli indennizzi destinati ai pescatori per l'interdizione di alcuni tratti di mare nella zona del poligono.

E' quello che hanno scoperto i militari della Guardia di Finanza, nell'ambito di una complessa inchiesta ribattezzata "Big Family".

La frode si basava sui cosiddetti "Indennizzi Nato", istituiti già dal 1999, quando il Ministero della Difesa e la Regione sottoscrissero il protocollo d'intesa per riconoscere un compenso alle marinerie danneggiate e interessate dallo sgombero degli specchi d’acqua a seguito di esercitazioni militari. Nel 2005, inoltre, arrivarono ulteriori indennizzi, anche per le marinerie di Sant'Anna Arresi e Teulada.

Ma - hanno appurato le Fiamme gialle - in questi anni è stata in molti casi "evidente la sproporzione tra le attività di controllo con i numeri delle imprese e imbarcazioni da pesca che percepivano l’indennizzo".

"Infatti - proseguono gli inquirenti - la Cooperativa attuando delle procedure approssimative e viziate a favore della gran parte dei soci complici, orientavano gli stessi all’indebita percezione dell’indennizzo mediante la semplice iscrizione dei nomi nei ruolini di equipaggio delle barche da pesca. Con tale superficialità il presidente della Cooperativa, un pensionato, presentava, annualmente, documenti non conformi a quanto previsto dal protocollo d’intesa e dalla check- list predisposta dall’organo accertatore".

Nello specifico: registri datati e mai aggiornati, ricevute Inps e buste paghe false, pescatori che non erano pescatori o erano assunti in nero, documenti non idonei a dimostrare il lavoro dei soci (tutti parenti).

Per questo i finanzieri del Reparto navale di Sant’Antioco sono giunti alla conclusione che il presidente della cooperativa, sicuro del suo sistema collaudato, era l’uomo chiave che aveva creato negli anni un meccanismo perfetto, consapevole dei vuoti normativi.

Il tutto, come detto, per percepire indebiti indennizzi, per un totale che negli anni ha raggiunto la somma di 200mila euro.

Inoltre, continuano gli investigatori, "sono stati ascoltati i soci della cooperativa per capire come veniva gestita l'attività di pesca e, nell’occasione, sono emerse evidenti contraddizioni tra i membri degli stessi equipaggi relativamente agli orari di pesca, alle caratteristiche delle imbarcazioni e, addirittura, sulla conoscenza tra le persone degli equipaggi. Tra l’altro, molte imbarcazioni risultavano in pessime condizioni e abbandonate nei terreni, molte irreperibili, altre ancora senza segni identificativi".

Ancora: "dagli atti acquisiti presso l’INPS è emerso che molte posizioni risultavano irregolari o in nero da molti anni, altre avevano una doppia dipendenza lavorativa con contratti part-time o full-time, altri ancora pensionati e non assunti regolarmente. È stata altresì effettuata una mappatura delle posizioni con contestuale analisi del traffico telefonico dei soggetti sottoposti a controllo. In questo caso si è scoperto che i membri degli equipaggi non avevano mai avuto contatti tra di loro, una situazione inverosimile in un ambiente di lavoro di mare soggetto a molti imprevisti. Inoltre, dalla mappatura delle posizioni, è affiorato che alcuni soci imbarcati risultavano addirittura fuori dalla Sardegna per lunghi periodi".

Al termine dell'indagine, dunque, il presidente e 5 soci sono stati denunciati, ma gli accertamenti proseguono ora per individuare altre, possibili violazioni.

(Unioneonline/l.f.)
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