L'inchiesta aperta dalla Procura generale di Cagliari sul triplice omicidio nell'ovile Cuile is Coccus alle pendici del Serpeddì l'8 gennaio 1991, per il quale sconta l'ergastolo il 56enne Beniamino Zuncheddu di Burcei, è legata al sequestro di Gianni Murgia, il possidente di Dolianova rapito il 20 ottobre 1990 e liberatosi l'11 gennaio successivo quando già erano stati pagati 600 milioni di riscatto. Tre giorni dopo la strage. Riprendendo in mano i faldoni del rapimento, gli inquirenti hanno trovato le relazioni preparate dai carabinieri che lavoravano sul caso e alcune in particolare hanno attirato l'attenzione della pg Francesca Nanni. Tra queste c'è quella che descrive "l'esperimento" compiuto dagli uomini dell'Arma per scoprire da dove fossero fuggiti i malviventi dopo il blitz. Seguendo le indicazioni di Antonella Pitzalis, la compagna di Murgia prelevata assieme all'imprenditore ma liberata poco dopo, i militari avevano percorso una strada che passava vicino all'ovile Is Coccus. Una coincidenza? È quanto si sta cercando di capire. Ma ci sono altri particolari che sembrerebbero mettere in connessione i due episodi.

Rapimento e testimone

Il collegamento era già stato ipotizzato dagli avvocati di Zuncheddu: i legali Luigi Concas e Francesco Onnis avevano chiesto si verificasse la possibilità che i banditi fossero transitati da quelle parti, che i proprietari dello stazzo con oltre mille capi di bestiame (Gesuino e Giuseppe Fadda, padre e figlio di Sinnai) avessero visto qualcosa che non dovevano vedere e che per questo fossero stati uccisi. La tesi era stata ritenuta priva di riscontri dagli investigatori che invece avevano trovato indizi ritenuti decisivi contro il pastore di Burcei, riconosciuto dall'unico sopravvissuto di un'azione quasi militare per velocità e precisione. Le forze dell'ordine avevano ricostruito il clima di minacce e ritorsioni tra i Fadda e i frequentatori del vicino ovile Masone Scusa, attorno al quale gravitavano allevatori di Burcei (compreso Zuncheddu): animali uccisi per gli sconfinamenti, cani ammazzati e impiccati, botte con roncole e bastoni, allusioni verbali («Se facessero a voi quel che fate alle vacche...», la frase pronunciata da Zuncheddu ai Fadda). Secondo i giudici l'odierno ergastolano, arrestato nel febbraio 1991 e sempre professatosi innocente, per chiudere la vicenda alle 18,30 dell'8 gennaio aveva ucciso con un fucile calibro 12 prima padre e figlio, poi il servo pastore Ignazio Pusceddu. Pensava di aver fatto altrettanto con Luigi Pinna, genero di Fadda; invece il ragazzo era sopravvissuto e, seppure inizialmente avesse detto che l'assassino aveva il volto coperto e dunque non lo aveva potuto riconoscere, dopo un mese di incertezze aveva fatto il suo nome.

La nuova pista

Qualche tempo fa l'avvocato Mauro Trogu ha ripreso in mano i faldoni e, con l'aiuto del consulente Simone Montaldo, ha chiesto alla Procura generale di valutare la possibilità di proporre la revisione del processo sottolineando alcuni aspetti. Tra questi l'asserito collegamento col sequestro Murgia. C'è l'esperimento dei carabinieri, che conduce gli investigatori all'ovile di Is Coccus (più facilmente raggiungibile da Dolianova che da Sinnai): è possibile che in quella zona il gruppo di prelievo abbia consegnato l'ostaggio a quello di custodia e che i Fadda abbiano visto qualcosa? Leggendo le carte emerge anche che Murgia nel processo aveva descritto un clima teso tra i banditi nell'ultimo periodo del rapimento: qualcuno, non soddisfatto per la riduzione delle pretese (la richiesta iniziale di 3 miliardi per la liberazione era scesa a 600 milioni), aveva detto: «Noi a quelli non daremo nulla». Chi erano "quelli"? C'era forse chi voleva un ruolo nel rapimento e una parte del riscatto? Ancora: Pitzalis aveva spiegato che l'auto a un certo punto si era fermata e lei aveva sentito il verso di animali vicini. Infine, dopo la strage i militari avevano scoperto che a Cuile is Coccus si era trasferito Giuseppe Boi, amico dei Fadda, per prendersene cura; solo in seguito (quando i custodi erano stati già scoperti), un pentito aveva consentito di catturare il gruppo di prelievo dell'ostaggio e il basista (proprio Boi: condannato, oggi è libero). Elemento magari non significativo ma al vaglio degli inquirenti.

Andrea Manunza

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