Quella maglia numero sette, quel ragazzo che è diventato un uomo, si sta rimettendo in piedi. Sabato 20 febbraio, nel pomeriggio, il terribile incidente stradale. La grande paura collettiva di una tragedia senza un perché poi la sua risposta, la ripresa, un "secondo tempo" da campione. Non era il suo momento, l'enorme ondata d'amore lo ha trascinato via dall'ospedale e da qualcos'altro. Andrea Cossu, talento e fantasia, gli occhi velocissimi e la frenesia di vivere la vita, ha capito e ringrazia non solo chi lo ha soccorso.

Cossu, bentornato. Come sta?

«Acciaccato, ho ancora tanti dolori. Ne avrò per un po'. Però diciamo che per quello che mi è successo, sto quasi bene».

Un miracolo, siamo d'accordo?

«Sì, ne sono consapevole».

Cosa ricorda?

«Qualcosa delle fasi iniziali dell'incidente, un ricordo sfocato. Mi ritrovo a terra: un passante, non so chi fosse, resta sempre con me, mi fa parlare, mi tiene sveglio sino all'arrivo dei primi soccorritori. Ricordo la voce di un amico nel momento in cui i paramedici mi caricano sull'ambulanza per trasportarmi al pronto soccorso. Avevo male dappertutto, facevo una gran fatica a respirare. Poi gli esami, tante visite, la terapia intensiva. Ho ricordi sfocati. Tra me e me pensavo: Andrea, ora non devi mollare. La mattina dopo, al risveglio, mi dicono che sta andando bene, che non c'erano state complicazioni. Lì ho iniziato a pensare che ce l'avrei fatta, forse».

Chi dobbiamo ringraziare?

«Innanzitutto credo che qualcuno lassù abbia voluto proteggermi, regalandomi una seconda vita. Ci tengo particolarmente a ringraziare chi si è preso cura di me all'ospedale Brotzu; il personale del reparto di Chirurgia toracica del Businco, dal primario, il dottor Roberto Cherchi, ai medici, agli infermieri, davvero tutti. Non mi hanno fatto mancare nulla: li ringrazio per la professionalità e la loro umanità. Fanno una gran lavoro, l'ho potuto vedere con i miei occhi; lo fanno con tutti pazienti, indistintamente».

La vita che ti passa davanti in pochi attimi.

«Sì, pensi a tante cose, anche all'eventualità di non farcela. Poi mi sono venute in mente le mie due bambine e mi sono detto che dovevo subito reagire anche per loro».

Gli amici. Tanti, un affetto che ha stupito.

«L'affetto di tutti è stato incredibile. Non potevo ricevere visite e pensate che c'è chi ha persino dormito in macchina fuori dall'ospedale. L'incoraggiamento e il sostegno non sono comunque arrivati solo dagli amici più stretti: in realtà è stato come se una città si stringesse attorno a me. A pensarci mi vengono i brividi. Ringrazio tutti, di cuore».

I social. Tralasciando i censori da tastiera, lei è stato travolto da messaggi positivi.

«Una volta fuori pericolo, ho pensato che i social fossero il modo più rapido per mettermi in contatto con tutti. Ho ricevuto un'infinità di messaggi. I ragazzi della prima squadra e della Primavera, con i dirigenti e i tecnici, hanno fatto delle foto mostrando la numero 7 per dedicarmi le loro vittorie. Gesti che mi hanno fatto profondamente commuovere».

Cosa ha capito, dopo questo incidente?

«Siamo appesi ad un filo. Quanto accaduto mi ha fatto capire che ci concentriamo a volte su cose futili, non diamo il giusto peso a tante altre. La vita è preziosa, dobbiamo valorizzarla in tutto ciò che facciamo».

A proposito di cose belle: e il padel?

«Ci vorrà un po'. Ora devo stare a riposo. Poi, quando inizierò a stare meglio, comincerò a lavorare per rimettermi in forma. Ma di certo ritornerò più forte di prima (ride)».

Intanto il Cagliari è tornato.

«Da qui in avanti ogni partita sarà una battaglia. Il Cagliari ha valori tecnici e umani molto importanti per togliersi dai guai, sono certo che tutti daranno il massimo fino alla fine».

Enrico Pilia

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