Franco Pecorini, storico amministratore delegato della ditta Tirrenia & company, non è mai stato un vero boiardo di Stato. Per lui, 23 anni a capo della compagnia di navigazione pubblica, le vie del Signore sono sempre state infinite. Ha scollinato ben 17 governi, ha messo insieme un carrozzone capace di macinare debiti quanto mai nessuno prima era riuscito a fare. Riservato, schivo, potente come pochi, per lui l'arco costituzionale era una passeggiata. Karol, il Santo, lo aveva persino nominato tra i Gentiluomini di Sua Santità, tra i pochissimi eletti a prestare servizio nella Santa Sede. Quando Giovanni Paolo II ha lasciato la vita terrena nel parterre di Piazza San Pietro il suo posto era a fianco a George W. Bush, il Presidente degli Stati Uniti d'America. Pecorini amava ripetere: la Tirrenia morirà con me. Niente da fare. Lui è vivo e vegeto e la Tirrenia, invece, è, ancora una volta, in acque agitate.

La maledizione

La maledizione, per i sardi e l'interminabile fila di creditori, è infinita. Stefano Fava e Stefano Pesci, i pubblici ministeri della Procura di Roma che indagano sul crack della compagnia pubblica, sono convinti che il Gentiluomo avrebbe scientemente provocato il dissesto della società marittima fallita nel 2010 e risorta nel 2012. I capi d'imputazione nella comunicazione di chiusura indagini non sono di poco conto, compreso il presunto movente del dissesto, perseguito «al fine di conseguire per sé o per altri un ingiusto profitto». Sotto accusa ci sarebbe «il progressivo e insanabile aggravamento dello stato di dissesto e, poi, di vera e propria insolvenza». Il giudizio civile incardinato parla di un risarcimento di 250 milioni di euro di danni presunti.

Il contrappasso

Uno dei pochi che osò contrastare il dominio e la gestione del patriarca di Tirrenia fu, guarda caso, Vincenzo Onorato, il patron della Moby, che divenne, dopo Pecorini, il dominus della rinata Tirrenia, sotto le mentite spoglie della Compagnia Italiana di Navigazione. Sono le 8.28 del 17 ottobre del 2008 quando le agenzie di stampa battono un take dell'armatore di Moby. È un attacco diretto e senza fronzoli proprio a Pecorini. Sotto accusa ci sono i contributi pubblici che lo Stato regala a Tirrenia. Dall'agone cagliaritano, in una conferenza stampa, Onorato si lancia in una scomunica senza appello contro il Gentiluomo del Papa e i soldi pubblici erogati alla compagnia: «Mentre il mondo sta attraversando la più profonda crisi economica dal dopoguerra ad oggi - detta Onorato -, la lotta di Pecorini per consentire al gruppo Tirrenia di ottenere dallo Stato italiano circa un miliardo di euro di sovvenzioni è in aperta contraddizione con le regole dell'Unione europea e le esigenze della popolazione della Sardegna». Firmato Vincenzo Onorato, quello del 2008. Oggi a ricevere quella montagna trasversale di denaro pubblico è lo stesso che allora contestava il sistema Pecorini. Con una differenza sostanziale: prima la società era pubblica, ora è privata. Un dettaglio di non poco conto, proprio perché al potenziale danno erariale si somma il diretto interesse privato in un servizio pubblico.

Roba da Corte dei Conti

Ai riflettori puntati sull'ennesima proroga che lo Stato concede all'erede di Pecorini si sommano, infatti, tutta una serie di elementi che non potranno sfuggire ai giudici contabili, quelli della Corte dei Conti. La mancata decisione sul tipo di gara per affidare il servizio di continuità territoriale marittima da e per la Sardegna, la proroga scade il prossimo febbraio, lascia presagire ulteriori tentativi di reiterare la convenzione ad Onorato. Tutto questo nonostante le esplicite e dichiarate contrarietà espresse dall'Europa, dalle Autorità per la Concorrenza e dell'Anticorruzione. Di certo i numeri che emergono da questi otto anni di convenzione sono tali da far impallidire la gestione finanziaria del Gentiluomo del Santo Padre. L'esame di dettaglio di atti e documenti tenuti sottotraccia lascia emergere un quadro a dir poco inquietante nella gestione delle risorse pubbliche. Tutte azioni che hanno finito per far guadagnare a piene mani la Compagnia Italiana di Navigazione, sacrificando senza colpo ferire i servizi del trasporto via mare da e per la Sardegna.

Il dono d'agosto

Il primo scempio della convenzione si registra in pieno agosto del 2014, appena due anni dalla stipula dell'atto tra Ministero delle Infrastrutture e Trasporti e la Cin-Tirrenia. La compagnia, già nelle mani per buona parte di Onorato, non ha ancora approvato il bilancio del 2013 ma, con un colpo di teatro, chiede al Ministero di adeguare la convenzione perché avrebbe perdite rilevanti nella gestione delle tratte sarde. Non è passato nemmeno un esercizio finanziario che, guarda caso, si registrano perdite tali da chiedere la revisione della scrittura pubblico-privata. Non è un passaggio di poco conto. La Cin di Onorato & C. chiede di ridurre i servizi da e per l'Isola di ben 20 milioni di euro, per l'esattezza 19 milioni e 992 mila euro. Ovviamente tagliano i servizi ma lasciano intatto il contributo dello Stato, pari a 72 milioni di euro che il patron di Mascalzone Latino si porta a casa ogni anno per otto anni. Tagliano di tutto e di più: cancellano tratte e frequenze, vendono navi, riducono le frequenze invernali della linea Civitavecchia-Arbatax-Cagliari da giornaliera a trisettimanale per un risparmio, per Onorato, di 7,139 milioni; sospensione della linea merci Livorno-Cagliari nei periodi festivi per 805 mila euro; sospensione linea merci Ravenna-Catania nei periodi festivi per 1,196 milioni; per la Ravenna-Catania cambio navi e scalo a Brindisi con un effetto di risparmio di 3,355 milioni. Loro tagliano i servizi e lo Stato continua a pagare la stessa cifra di prima.

Servizi tagliati, stessi soldi

Il totalizzatore è da capogiro: in sei anni lo Stato ha versato alla Cin ben 120 milioni di euro per servizi che in realtà non sono stati mai eseguiti. Al danno, però, si aggiunge la beffa. La Regione sarda, giunta Pigliaru, firma l'accordo con la Cin e accetta tutti i tagli. In cambio la compagnia di navigazione si dice disponibile a cambiare la sede fiscale e spostarla a Cagliari. Un'operazione che viene annunciata con enfasi: la Regione avrà 30 milioni di euro di entrate fiscali in più all'anno. Una sottospecie di compensazione che dura poco. Nel 2018 la Cin prende armi e bagagli e trasferisce tutto a Milano. Per la Sardegna, oltre ai tagli dei servizi, resta anche un buco nelle entrate, meno 90 milioni di euro per il periodo 2018-2020.

Le vie del Signore

Le vie del Signore per Onorato sono infinite quanto mai, anche più di quelle di Pecorini. Un Tribunale civile, quello di Roma, decide il sequestro dei conti correnti della Compagnia. Per l'esattezza 120 milioni di euro. Si tratta di una parte dei 180 milioni di euro che Onorato non ha ancora pagato allo Stato per l'acquisto delle navi della compagnia pubblica di navigazione. Interviene il governo. Altro regalo. Ordina ai commissari liquidatori: non sequestrate i soldi ma le navi, che ovviamente restano nella disponibilità di Onorato.

Navi svalutate

Peccato che, nei giorni scorsi, la più importante rivista internazionale dello shipping abbia divulgato i dati di uno studio commissionato proprio da Onorato al prof. Mauro Bini dell'Università Bocconi. Si tratta di «una perizia di stima del valore di smobilizzo, alla data del 31 maggio 2020, delle 26 navi di proprietà del Gruppo Onorato su cui insistono garanzie concesse in favore dei principali creditori». Ad esprimersi sono stati tre dei più importanti broker del settore marittimo: Brax, Simsonship ed Enrico Scolaro Shipbrokers. Il risultato, per le casse dello Stato, dei creditori e degli obbligazionisti del bond, è devastante: se prima quelle navi erano valutate a bilancio un miliardo di euro ora il loro valore si è più che dimezzato. Se la liquidazione della flotta fosse "ordinata" il valore delle navi ammonterebbe a 450 milioni di euro, in caso di liquidazione forzata il valore sarebbe di 249 milioni, 101 milioni per le navi Moby e 148 milioni per quelle Cin. Lo Stato, quando ha rinunciato al sequestro dei conti correnti a favore delle navi, ha segnato l'ennesimo autogol. Le navi sequestrate, se prima erano state valutate 120 milioni di euro ora, con la quotazione di mercato, valgono meno della metà. Le vie dello Stato restano infinite, come i regali sulla rotta per la Sardegna.

Mauro Pili
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