Nelle prossime giornate del 20 e del 21 settembre 2020 saranno sette le Regioni chiamate ad esprimere la propria preferenza per l’elezione dei nuovi Presidenti e per il contestuale rinnovo del Consiglio Regionale: Campania, Liguria, Marche, Puglia, Toscana, Valle d’Aosta e Veneto. Il prossimo 14 settembre, inoltre, eccezion fatta per talune specifiche realtà regionali che hanno ritenuto di dover esprimere un differente orientamento temporale, è anche previsto, non senza pungenti contestazioni, il rientro a scuola per gran parte di docenti e discenti. Rientro che, in occasione dell’attesissimo “Election Weekend”, sarà destinato a subire un fastidioso, quanto inopportuno, arresto forzoso che non mancherà, a mio umilissimo avviso, di incidere, e anche in maniera determinante, seppur discontinua, sugli esiti del voto in ragione del generale e indotto processo di graduale politicizzazione opaca e “(s-)personalizzante” del fenomeno “scuola” sviluppatosi sia in seno allo stesso esecutivo, sia in seno alle forze partitiche di opposizione, le quali tutte, in vario modo, nel corso dei mesi appena trascorsi, hanno tentato di trarne reciproco giovamento suscitando l’implosione delle molteplici contraddizioni esistenti all’interno della stessa Istituzione scolastica nella sua connotazione specifica di affare interessante l’intera comunità, la quale ultima, per ciò stesso, si è ritrovata ad essere indirettamente sollecitata a dirigere un percorso di responsabilizzazione asseritamente trascurato, o comunque male interpretato, dal ministero di competenza e dalla sua figura apicale.

Inutile sottolineare l’incalzare, allo specifico proposito, del dibattito mediatico nazionale, alimentato dall’incontestabile pencolamento sul modus operandi ritenuto maggiormente idoneo alla gestione in sicurezza dei richiamati e quasi contestuali appuntamenti. Lo abbiamo sperimentato, e in qualche modo subito, nell’incandescente e un po' confuso trascorrere degli ultimi giorni.

Piuttosto, ritengo massimamente interessante, nel contesto delle mie riflessioni, e al fine di offrire una lettura critica di quelli che saranno i potenziali esiti del voto e i loro effetti anche con riferimento alla specifica circostanza legata alla “gestione” dell’avvio del nuovo anno scolastico, concentrare l’analisi sulle relazioni, esistenti o meno lo vedremo nel prosieguo, tra il trend della cultura politica territoriale (rectius regionale) settorialmente “politicizzata”, generalmente autonoma per sua stessa natura siccome storicamente radicata per essere le sue eventuali e fulminee oscillazioni direttamente dipendenti dalla ipotizzabile e temporanea affermazione di contesti associativi strettamente localizzati, e il trend dell’orientamento politico nazionale. Tanto più quando, proprio quelle relazioni, se davvero esistenti, si pongano come l’unica chiave di lettura significativa nell’indagare il variegato ventaglio delle possibilità di sopravvivenza dell’attuale esecutivo a prescindere (e anche in dispregio) dai (dei) risultati elettorali e dalle (delle) contestazioni sulla utile ripresa, anticipata o successiva poco importa, delle attività didattiche “in presenza”.

La società, virus o non virus, è in piena trasformazione e con essa si trasformano pure i codici interpretativi del linguaggio e del ragionamento politico. Paradossalmente, e al contrario, a risentire in maniera minore di quelle stesse trasformazioni sembrano essere, invece, proprio le dinamiche tattiche e fenomenologiche “interne” ed “esterne” ai vari partiti in contesa, i quali, a loro volta, si caratterizzano per essere sempre e comunque diversamente significativi e rappresentativi alla prova del raffronto tra il perimetro strettamente territoriale e il perimetro più marcatamente nazionale. Diversamente argomentando, e per meglio comprendere, si potrebbero verosimilmente ridurre i termini dell’intero dibattito alla sola “summa quaestio” dell’indiscussa autonomia politica delle regioni, ovvero alla questione relativa al se e al quanto la politica regionale, nel sentire comune, sia percepita come “indipendente” e “disomogenea” rispetto agli sviluppi della politica nazionale.

Mi rendo conto che le proposte riflessioni possano apparire, nel contempo, inverosimili, se non addirittura fantasiose e/o retoriche, se non anche terribilmente retrò. Pur tuttavia, in realtà, tali non sono se solo ci si sofferma a considerare che lo stesso sociologo André Siegfried, fin dagli albori del Novecento, aveva ritenuto di dover affermare che nell’ambito delle competizioni elettorali “le opinioni politiche sono soggette ad una ripartizione geografica”. Al proposito, proprio il calendario elettorale dei giorni a venire potrebbe riflettere una chiara rappresentazione in merito alla veridicità di siffatto assioma. Che poi le risultanze elettorali, qualunque esse siano, si traducano o meno in uno “showdown” per le parti soccombenti dipenderà unicamente dalla suggestione maliziosa che i vari coefficienti percentuali di gradimento saranno in grado di esercitare non tanto sull’elettorato, il quale all’evidenza avrebbe già esaurito il suo ruolo decisivo con la frequentazione dell’urna, quanto, piuttosto, sui termini ristretti e campanilistici, nel divenire futuro prossimo, dei rapporti intrinseci assunti a pilastro degli accordi di maggioranza ma anche di opposizione, considerate le sussistenti spaccature interne anche ivi presenti, nonché sulla maggiore o minore attenzione che si deciderà di dedicare all’analisi dell’incognita rappresentata dal cosiddetto “voto mobile” (per definizione indirettamente dipendente dal condizionamento esercitato dagli accadimenti politici nel loro frenetico avvicendarsi) eventualmente espresso a “macchia di leopardo” nelle varie aree del Paese e che non sempre appare funzionale nel rendere ragione e/o testimonianza, a livello squisitamente locale, di una dimensione di uniformità del consenso a favore dei vari partiti di riferimento pur tuttavia sussistente a livello nazionale.

In buona sostanza, e forse più semplicemente, il nocciolo della questione è parimenti tutto racchiuso financo nel lungo e intermittente processo di disarticolazione dell’associazionismo partitico che, seppure vale di per sé soltanto a spiegare “comportamenti” elettorali volubili e incostanti, come da più parti rilevato, tuttavia riesce pur sempre a fotografare, con l’immediatezza di una “polaroid”, il presupposto fondante del contestuale e non meno importante processo di denazionalizzazione del voto, il quale, a sua volta, rende ragione e spiegazione della generale irrilevanza di ogni singola elezione di carattere regionale sul complessivo impianto governativo centrale di segno politico opposto e contrario, le cui sorti sono piuttosto legate non solo alla capacità/incapacità di offrire solide risposte alla domanda popolare, ma anche alla prontezza più o meno assicurata nel garantire l’efficienza organizzativa dell’intero apparato burocratico.

Alla luce delle riflessioni proposte, pertanto, ben si comprende il significato delle parole del presidente del Consiglio dei ministri Giuseppe Conte, il quale, con la temperanza e la lungimiranza che gli sono proprie, ed esortando nel contempo le forze politiche della sua maggioranza, ha di recente trovato la forza di affermare che sebbene il “voto non incid(a) sul(la tenuta del) governo”, tuttavia “serve più spirito di squadra”. “Intelligenti pauca sufficiunt”: ma evidentemente, quando a difettare sono proprio i “buoni intenditori” della politica non resta che affidarsi ai capricci del caso.

Giuseppina Di Salvatore

(avvocato - Nuoro)
© Riproduzione riservata