Attila non sarebbe riuscito a far di meglio. Da resort esclusivo sulle vette del Gennargentu a cumulo indistinto di macerie. Sparse qua e là, dagli scantinati ai tetti, le poltroncine in gomma piuma di quella che fu la discoteca più montana della Sardegna.

Balli d'alta quota

Balli d'alta quota in tempi in cui gli assembramenti non erano un problema. Tutto distrutto. Le piccozze hanno divelto anche le prese elettriche incastonate nei muri delle 58 camere e degli undici cottage dello Sporting Club Monte Spada, l'albergo più in alto della Sardegna, 1385 metri sul livello del mare. Non è rimasto niente. O quasi. Il preludio è senza appello. Ti aspetti di trovare solo reliquati cartacei di un'epoca scioltasi come neve al sole. E, invece, solcati i primi gradini verso il basso, dopo aver superato la hall, quella che districava turisti plurilingue nei vari livelli dell'hotel, ti imbatti in una sala mozzafiato. Duecento metri quadri incastonati sul versante di Fonni. Non ci sono porte e nemmeno finestre. E non devi nemmeno pagare il biglietto.

Louvre sul Monte Spada

Un Louvre aperto, in cima al Monte Spada a due tiri di schioppo dal Bruncu Spina, dove nessun turista intelligente e illuminato si sottrarrebbe dal farsi staccare un ticket emozionale pur di visitare quella sala degli affreschi, quelli del miracolo di Liliana Cano. Quando entri l'insegna della Exit è divelta, come tutto il resto. Alle pareti, invece, il canto armonico dei dipinti della straordinaria artista sarda, 95 anni compiuti, un'icona di quella scuola che da Biasi a Delitala ha vergato la storia pittorica della Sardegna.

Il tempo annebbiato

Il tempo si annebbia in quello scantinato trasformato in museo esclusivo. Non si capisce se il perenne sorriso dell'artista cosmopolita abbia impresso cotanta infinita bellezza in una recente incursione, quasi a suggellare una moderna interpretazione da street art d'alta montagna, oppure quegli affreschi intatti siano un vero e proprio miracolo del tempo. Intatti, espressività che esce dai muri, traspare da colori intonsi come se il sole, il vento e l'acqua li rinfrescassero nella loro luminosa intensità. Vivono, come le stalattiti di una grotta, alimentati dal un barlume di buon senso di chi ha capito che toccarli avrebbe significato maledizione eterna. La firma è in stampatello, inconfondibile, come quella dei quadri esposti nelle più preziose gallerie d'arte. «Liliana Cano 1979», senza possibilità d'errore, l'inclinazione di quelle lettere che compongono il suo nome non lascia adito a dubbi. Chi ha cercato di falsificarla è caduto nella rete degli investigatori d'arte.

Senza residenza

A Sassari dicono che è sassarese, a Oliena dicono che è olianese e qualcuno dice pure che sia fonnese. In realtà a Fonni Liliana Cano ha vissuto. Un mese esatto. Inverno inoltrato, 1979, appunto. Lei quei trenta giorni sulle vette della Sardegna li ricorda come se fossero infiniti. «Era un grande inverno, seppur senza neve. Ho trascorso almeno un mese lavorando per l'intera giornata, sempre in solitudine nel freddo locale della discoteca". Gli affreschi sono icone della storia, pennellate scolpite nei muri, indelebili. Il più grande parla, anzi, canta. I tenore, vestiti con jeans a zampa d'elefante, incantano con le profondità della voce le giovani ragazze accorse dalla città ad ascoltare quei canti antichi. Tra loro le donne e gli uomini del paese. Un Quarto Stato d'ascolto anziché in marcia.

Il Re Rosso

Domina il rosso, come in tutti gli altri che impreziosiscono le argentate montagne del Gennargentu. E lei, la donna che rende immortali le sue opere, lo spiega con la semplicità della sua arte. "Ho usato il rosso perché è il Re dei colori. Rosso infinito, nero e bianco". Gli affreschi del privè della sala da ballo dello Sporting seguono l'andamento curvilineo delle pareti e sono un unicum artistico senza eguali. Trasformare in rosso fuoco la macchia mediterranea, imprimere su quelle pareti i più piccoli dettagli di foglie minute e infinite, dal mirto al lentischio. Migliaia di chirurgiche carezze di pennello protese ad incidere un ricamo d'altri tempi. Tra quelle tante intensità di rosso, confuso nella boscaglia, un muflone si affaccia nel paradiso del Bruncu Spina, incastonato come un diamante della natura. E poi i due giovani posati sulle scoscese terre del Monte Spada, per finire con i suonatori d'armonica anche loro distesi sull'erba di montagna. I Cualbu gli chiesero di realizzare quelle opere su pannelli, lei si rifiutò.

Giotto sui muri

Gli affreschi si dipingono sui muri, rispose senza margini di trattativa. Con una risata liberatoria, rievoca il fatto: «Del resto Giotto disegnava sui muri mica su carta». Oso chiedere di quel miracolo che ha lasciato intatte quelle immense opere sul Monte Spada. Ride: «Vuol dire che li ho fatti bene se hanno resistito». In quell'anfratto dove tutto è distrutto, dove i sogni si sono addormentati, l'unico risveglio sono quegli affreschi immortali. Chissà che da domani qualcuno non decida di proteggerli, di custodirli in quell'eremo, magari per iniziare un nuovo affresco culturale artistico ed economico del Gennargentu. Del resto tra i dipinti della natura, quelli di Grazia Deledda e di Liliana Cano un sacrosanto biglietto d'ingresso per il futuro è abbondantemente giustificato.

Mauro Pili

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