In fondo tutta Italia in queste ore si fa la stessa domanda, questa domanda. C'è chi se la pone in odio al governo e chi per amore appassionato, chi perché lo vorrebbe vedere ancora alla prova, e chi perché non si aspetta nulla. Ma tutti si domandano: "Salvini staccherà la spina no?".

Sceglierà di incassare il suo enorme surplus di consenso, diventato un numero tondo - il 34% alle europee? Eviterà la rogna della manovra? Correrà da solo con Giorgia Meloni e i suoi Fratelli eliminando dalla propria alleanza Silvio Berlusconi o no?

Così bisogna fare il punto delle opzioni e delle ipotesi. Molti dirigenti dello stato maggiore leghista, sicuramente la maggioranza, in questo momento sussurrano al suo leader di intraprendere questo percorso-lampo: 1) aprire la crisi su un tema bandiera di sicura presa, la Flat Tax. 2) puntare alla scioglimento delle Camere 3) evitare la rogna della legge di Bilancio. 4) provare a ripetere il risultato delle Europee con un voto anticipato. 5) non perdere l'attimo.

Malgrado la Lega sia un partito "leninista" - ovvero zero dissenso dal capo - non è un mistero che il capofila di questo manipolo di "elezionisti" sia un dirigente di peso come Giancarlo Giorgetti. Ma un altro nome di prima fila, convinto che il tempo del governo Conte sia già scaduto, è Armando Siri. Per non parlare dei governatori del Nord, molto importanti nel sistema di potere verde.

Tuttavia Salvini continua a prendere tempo. Lo ha già fatto dopo le elezioni dell'Abruzzo, quando metà della delegazione di governo gli chiedeva di congedare l'esecutivo. Continua a farlo in queste ore. Perché?

Il primo vero motivo è il ricordo di una pagina vissuta da giovanissimo, nel 1994. In quel caso i ruoli erano invertiti. Umberto Bossi aveva appena fatto cadere Silvio Berlusconi, lo chiamava "Berluskatz", "Cavaliere nero", gridava nelle piazze "ti seghiamo il balconcino", e "No alla porcilaia fascista!". Berlusconi era certo di andare al voto e spazzarlo via, i media erano convinti che le Camere si sarebbero sciolte.

Buttiglione, D'Alema e Bossi fecero una cena furtiva, a Roma, a base di sardine nell'appartamento del leader del Carroccio (perché erano l'unica cosa che c'era nel frigo). E mentre il giovane Salvini ascoltava preoccupato la rabbia del popolo di centrodestra, soprattutto al Nord, e gli annunci di Aventino degli azzurri (“Ci dimettiamo tutti!”), Bossi sembrava imperturbabile: "Quel nano lo mandiamo via".

Come è noto, ebbe ragione lui: non si andò al voto, nacque un altro governo con una maggioranza che all'epoca pareva impossibile, lo guidava Lamberto Dini, un uomo considerato vicino al Cavaliere, e anche questo sembrava impossibile.

Per giunta mancavano dei voti e il Banchiere Lamberto riuscì ad ottenere la maggioranza perché persino sedici deputati comunisti (di Rifondazione) gli dissero di sì. Quindi, il Salvini di oggi, ascolta con attenzione quello che in queste discussioni ripete uno dei più più prudenti, Claudio Borghi: "Attenti che se si apre la crisi può succedere di tutto".

Questa è la prima preoccupazione del ministro dell'Interno: perdere il governo non significa andare automaticamente al voto, ma tornare in un parlamento in cui un'altra maggioranza (al contrario del 1995, quando fu inventata) potenzialmente già esiste. E in più c'è un'altra novità: è vero che a inizio legislatura i renziani contrari a ogni accordo con il M5s erano forti nei gruppi parlamentari del Pd, ma all'epoca l'uomo di Rignano aveva ancora in mano il partito (gli bastò uno ospitata da Fabio Fazio per far saltare la trattativa segreta) mentre adesso un altro leader, Nicola Zingaretti, è solidamente al comando. Infine c'è un altro gruppo di leghisti - chiamiamoli i pragmatici, alla Massimo Garavaglia - che pur non amando i pentastellati fanno un altro ragionamento, e lo riassumo così: 1) il contratto di governo ormai è un programma di cui ci siano assunti la responsabilità davanti a chi ci ha votato. 2) Non abbiamo ancora dato ai nostri elettori - soprattutto al Nord - una realizzazione concreta, che possa diventare la nostra bandiera in campagna elettorale. 3) Alcune misure amministrative e fiscali che possono portare grande simpatia al governo (circolari di sbloccaggio, ribasso dei limiti, mini-Flat Tax sulle partite Iva, depotenziamento del codice degli appalti) stanno dispiegando i loro effetti e produrranno un ritorno di consenso entro fine anno.

A questo quadro va aggiunta la statistica sul voto a settembre (non si è verificato mai), la paura di Salvini che l'elettorato consideri una fuga lasciare il paese senza manovra, e il dubbio che un uomo come Sergio Mattarella, per evitare vuoti di potere istituzionale, un governo lo farebbe nascere comunque, anche se fosse di minoranza (come nell'ipotesi di Carlo Cottarelli di un anno fa). E soprattutto: è difficile anche far cadere il governo adesso, mentre è il corso la trattativa con l'Europa. Ecco perché tutti si fanno la stessa domanda, questa domanda: ma la prima risposta che si dà Salvini, uomo molto prudente, non è la prima che viene in mente a tutti.

Luca Telese

(Giornalista e autore televisivo)
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