C'è molta curiosità per capire se la nuova Giunta regionale a trazione sardoleghista potrà essere autrice, o meno, di un quinquennio di efficace e proficuo lavoro per ridare all'Isola ripresa economica e crescita sociale, in modo da liberarla dalla lunga stasi che l'ha fortemente debilitata e retrocessa fra le regioni di coda d'Europa. Questo perché hanno stupito le molte difficoltà incontrate dal Governatore Christian Solinas nel riuscire a completarne la composizione, per via delle contrastanti aspirazioni e dei manifesti malpancismi della sua disorganica coalizione.

C'è anche in giro - ed è opportuno farne cenno - una certa preoccupazione per via di alcune estemporanee dichiarazioni rese da taluni dei neo-assessori che, con un approccio un po' sgangherato alle emergenze in atto, hanno lasciato dei seri dubbi sulle loro effettive competenze e capacità. Anche perché, a somiglianza di alcuni dei loro partner nel governo nazionale, hanno abbracciato quel che un politologo francese d'inizio '900 avrebbe definito "il culto dell'incompetenza". Perché, a suo dire, l'essere privi di particolari eccellenze personali o scolastiche, sia un utile passe-partout per essere più vicini alle passioni ed alle esigenze di quella folla indistinta dei loro elettori che avrebbero chiamato, per comodità, popolo.

Certo, occorrerà attendere almeno i primi cento giorni di governo (come è consuetudine) per esprimere un giudizio meglio ponderato e meno intuitivo su queste défaillances della Giunta. Ma l'attesa non esime certo dal dover sottolineare le perplessità derivanti dalle incertezze e dai rinvii finora registrati. Soprattutto se, tenuto conto delle promesse elettorali, c'è da onorare l'impegno preso di dover imprimere un deciso e rapido cambio di passo, di metodi e di obiettivi rispetto ad un passato che non ha lasciato certo un'eredità positiva.

Questo perché la Sardegna continua a mostrare, purtroppo, una chiara insufficienza in quasi tutti gli indicatori che ne misurano lo stato di salute generale. A partire dal modesto valore del suo prodotto interno, fino ai grandi numeri dell'inoccupazione giovanile e della dispersione scolastica, alle forti diseguaglianze negli assetti territoriali e nelle componenti sociali e, ancora, su tutto quel che serve a definire un benessere equo e sostenibile.

Che sia quindi necessario poter disporre di una guida politica d'alto profilo, non pare certo una richiesta fuori luogo o troppo ambiziosa. Non diversamente dal doversi attendere delle chiare accelerazioni nella predisposizione di azioni concrete in grado di ridare un reale benessere a tutta la nostra gente, dei villaggi come delle città, delle coste come dell'interno.

Quel che preoccupa è che di quell'alto profilo necessario non se ne vede in giro, visto che la nostra classe dirigente, ad iniziare da quella politica, sembrerebbe essersi, per così dire, illegittimata, per via di un diffuso deficit di competenze e di esperienze positive.

La stessa composizione dell'Assemblea regionale, in indifferenza di schieramento, sembrerebbe alimentare quest'osservazione. Purtroppo le candidature ormai avvengono perlopiù attraverso sistemi che hanno messo da parte capacità e meriti. Premiando solo attestazioni di fedeltà ed ubbidienza o, talvolta, delle adesioni mercenarie da parte di transfughi da altre, anche opposte, militanze.

Viene difficile fare dei distinguo, ma appare evidente che queste tipologie di selezioni facilitino l'emergere di personaggi tanto esperti nell'assoldare clientele e voti, quanto inadatti nel predisporre e portare avanti efficaci azioni di buongoverno. Che non risulti essere questo il nostro futuro, c'è quindi da augurarselo, dato che si ha urgente bisogno, per liberarsi dall'odierna stagnazione, di una vigorosa e decisa politica di sviluppo che rinvigorisca i diversi rami dell'economia, dall'agricoltura all'industria ed ai servizi. Perché non è che la ripresa possa avvenire puntando su quella che Giuseppe De Rita ha chiamato "l'economia da villaggio" (noi diremmo biddaia), fatta di tanti piccoli rammendi, come gli inutili lavoretti a tempo e gli interventi fini a se stessi, senza continuità nè profitti.

La speranza è che questa che inizia possa essere, per l'economia sarda, una legislatura finalmente positiva, di ripresa se non proprio di rinascita. Utinam, lo volesse il cielo, direbbero i nostri padri latini.

PAOLO FADDA

STORICO E SCRITTORE
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