Il 22 ottobre la Lombardia ed il Veneto, hanno votato i referendum leghisti che chiedono maggiore autonomia ma, soprattutto, chiedono di trattenere al nord le risorse economiche.

Si è trattato di referendum con esclusivo valore consultivo, che però sembrano puntare al cuore della coesione nazionale, mettendo ancora una volta i ricchi contro i poveri. Non si può negare che la Padania abbia le sue ragioni, per cui la risposta non può certo essere la difesa dello status quo: il sistema della redistribuzione delle risorse va ripensato, non più per garantire assistenza, ma per tutelare pari opportunità che aiutino la competizione con analoghi punti di partenza.

La risposta scelta dalla Sardegna in contemporanea con la campagna elettorale padana, è un comitato referendario, promosso dai Riformatori Liberali, a cui aderiscono esponenti politici di tutti i partiti, che in queste settimane sta raccogliendo le firme per un referendum sardo, che preveda l'inserimento del principio di insularità nella Costituzione Italiana. Per la Sardegna sarebbe una vera rivoluzione copernicana, il Comitato referendario è infatti convinto che sia terminata la stagione dell'assistenzialismo e delle elemosine di Stato.

In nome della coesione nazionale, i sardi chiedono invece di avere le compensazioni infrastrutturali (trasporti, energia, reti tecnologiche, alta formazione, sanità, fiscalità di vantaggio), legate allo svantaggio dell'insularità, che consentano diritti di cittadinanza e punti di partenza uguali al resto d'Italia. I sardi chiedono cioè le precondizioni per dimostrare quanto vale ciascuna regione italiana, senza che ci siano corse ad handicap.

Accanto al comitato Promotore è nato un comitato scientifico, di cui fanno parte:

Il Prof. Paolo Savona, Dr. Gavino Sanna, il Prof. Massimo Carpinelli, Rettore dell'Università di Sassari, il Prof. Pasquale Mistretta, già Rettore dell'Università di Cagliari, il Dr. Ettore Angioni, già Procuratore Generale della Repubblica, Dr.ssa Simonetta Sotgiu, Giudice della Corte di Cassazione, il Prof. Gianluigi Gessa, il Giudice Dott. Federico Paolomba, Prof.ssa Maria Antonietta Mongiu, Archeologa, Prof. Giovanni Lobrano, ordinario di Diritto romano presso l'università di Sassari, Prof. Gavino Faa (medico, università di Cagliari), il Dr. Paolo Fadda, storico, l’editore Carlo Delfino, il Giudice Dr. Enrico Altieri, il Dr. Francesco Manca, già Direttore Generale dell'Osservatorio industriale della Sardegna, il Dr. Paolo Figus, già direttore de L'Unione Sarda, L’Avv. Francesca Curreli, l’Avv. Rita Dedola, Presidente Consiglio dell’Ordine Forense di Cagliari, Antonello Gregorini, Presidente dell'Associazione Nurnet, il Prof. Stefano Altea, docente Università di Cagliari.

Il principio di insularità

Quella che segue è una sintesi dei temi inerenti il principio di insularità.

Ciò di cui si deve tener conto, innanzitutto, è la situazione socioeconomica strutturale della Sardegna, aggravata dalla distanza, dall'insularità, dalla topografia, fattori la cui persistenza e il cui cumulo recano grave danno allo sviluppo. Nonostante i trattati comunitari e internazionali i sardi continuano ad avere uno svantaggio infrastrutturale e strutturale che impedisce di avere pari opportunità con il resto dei connazionali e dei cittadini europei. L’unico modo per colmare tali svantaggi è il riconoscimento del principio di insularità nella Carta Costituzionale, facendolo diventare parte di quell’identità costituzionale/nazionale sovraordinato ai trattati.

“Il tema dell’insularità appartiene alla tradizione giuridica del nostro Paese e si connette, per imprescindibili motivi di ordine geografico, con l’irrisolta questione meridionale e le sue molteplici e spesso contraddittorie sfaccettature. Come si avrà modo di osservare nel prosieguo di queste considerazioni, mentre la materia assume progressivamente rilievo nel diritto internazionale prima e nel diritto europeo dopo, ha perduto progressivamente specifico rilievo nel diritto pubblico domestico".

Se sul piano dei principi si può osservare che la tutela dell’insularità, pur perdendo rilievo costituzionale, riceve una tutela ancor più rilevante nel diritto primario europeo e nei trattati internazionali, la progressiva perdita d’interesse dell’ordinamento interno evidenzia, più in generale, l’obliterazione delle politiche di coesione territoriale e della questione meridionale, che ha aggravato i suoi contorni.

1. L’insularità nell’ordinamento costituzionale italiano: cenni.

In Italia, già la Costituzione del 1948, contemplava all’art. 119 c.3 (“per provvedere a scopi determinati, e particolarmente per valorizzare il Mezzogiorno e le Isole, lo Stato assegna per legge a singole Regioni contributi speciali”), un chiaro e puntuale riferimento all’insularità ed al Mezzogiorno, considerate realtà svantaggiate dal punto di vista geografico, economico e sociale da valorizzare ed alle quali destinare misure ed incentivi straordinari e che fu oggetto di un dibattito in Assemblea costituente.

Nella prospettiva di riforma della seconda parte della Costituzione si registra tuttavia la scomparsa dell’insularità, eliminando all’obiettivo della sua valorizzazione quella preminenza che esso aveva nell’originaria stesura dell’art. 119, terzo comma, della Carta fondamentale, in guisa da considerare in termini generalizzati le esigenze di riequilibrio.

Il legislatore costituzionale del 2001 ha così espunto dall’art. 119 Cost. ogni riferimento a tali aree geografiche.

Ed infatti quella norma fu sostituita dall’art. 119 Cost. 5 comma: “Per promuovere lo sviluppo economico, la coesione e la solidarietà sociale, per rimuovere gli squilibri economici e sociali, per favorire l’effettivo esercizio dei diritti della persona, o per provvedere a scopi diversi dal normale esercizio delle loro funzioni, lo Stato destina risorse aggiuntive ed effettua interventi speciali in favore di determinati Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni”.

Prescindendo, quindi, dal considerare che l’insularità ingenera una condizione ulteriore di evidente disequilibrio. Ciò ha significato, inoltre, sfilare un mattone della specialità dello Statuto Sardo.

Omettiamo la vicenda relativa all'insularità nel diritto internazionale ed europeo (paragrafo ben conosciuto dai colleghi Siciliani).

2. L'identità Costituzionale

"Le uniche forme di partecipazione e deliberazione politica realmente popolari (ovvero accessibili alla massa dei cittadini) sono quelle caratteristiche di ciascun paese, gestite nella lingua o nelle lingue nazionali".

Dunque, "la politica pare essere più partecipativa e democratica quando è "politica in vernacolo" (politics in the vernacular), quando cioè viene esercitata nella lingua del popolo. Questa visione coincide nettamente con alcune tesi britanniche sul ruolo delle elite nel progetto europeo, secondo le quali il processo d'integrazione europea è stato portato avanti da un gruppo di elite politiche e pertanto non contribuisce a rafforzare la legittimità democratica dell'UE. Come affermano Delanty e Rumford, le elite europee tacciano le masse di non essere fedeli all'Europa, ma la verità è che sono le elite, oggi, ad essere raffigurate come infedeli".

Nel primo paragrafo dell'articolo F del trattato UE (divenuto poi articolo 6 del TUE), il trattato di Maastricht introduce quindi un breve passaggio enigmatico in cui si afferma che "L'Unione rispetta l'identità nazionale dei suoi Stati membri". Il richiamo generico all'identità nazionale può essere letto come riferito prevalentemente alla costituzione nazionale, in particolare a ciò che distingue una costituzione da un'altra. Il riferimento implicito alle costituzioni è stato largamente esplicitato mediante la cosiddetta clausola di Christophersen (successivo articolo I-5 del trattato costituzionale e articolo 4, paragrafo 2, del trattato UE nella versione di Lisbona: L'Unione rispetta l'uguaglianza degli Stati membri davanti ai trattati e la loro identità nazionale insita nella loro struttura fondamentale, politica e costituzionale, compreso il sistema delle autonomie locali e regionali. Rispetta le funzioni essenziali dello Stato, in particolare le funzioni di salvaguardia dell'integrità territoriale, di mantenimento dell'ordine pubblico e di tutela della sicurezza nazionale. In particolare, la sicurezza nazionale resta di esclusiva competenza di ciascuno Stato membro), che elabora il testo ereditato da Maastricht. Nel termine "struttura" parrebbero rientrare, tra l'altro, una serie di questioni sulle quali viene riconosciuta e tutelata l'autonomia costituzionale degli Stati membri, ovvero: se gli Stati preferiscano avere una costituzione scritta o non scritta, una monarchia o una repubblica, un sistema di governo presidenziale o parlamentare, un sistema di voto proporzionale o maggioritario, una revisione costituzionale ad opera delle corti, una struttura statale unitaria piuttosto che regionale o federale. Come osserva de Witte, questa formulazione, oltre ad essere una conferma della situazione attuale, è anche un ribadire nuovamente il fatto che determinate funzioni restano per loro essenza di competenza di ciascuno Stato e che, in più vige, la tutela delle strutture costituzionali nazionali. Questo aspetto può essere letto soltanto come una forte riaffermazione della natura non federale dell'Unione europea.

Secondo l'interpretazione delle corti costituzionali nazionali, in particolare quella tedesca, francese e spagnola, il nuovo articolo sul rispetto dell'identità degli Stati membri indica implicitamente che la preminenza del diritto europeo viene meno ogni qualvolta tale diritto incide sulle costituzioni nazionali o, quantomeno, sulle relative strutture fondamentali. Ad esempio, il Conseil constitutionnel si è avvalso per la prima volta del concetto di identità nel precisare che il limite all'applicazione del diritto UE nell'ordinamento giuridico francese è costituito dalle règles et principes inhérents à l'identité constitutionnelle de la France.

Vi è infine un ultimo aspetto dell'identità nazionale che ha avuto un ruolo importante nel corso delle campagne referendarie degli oppositori al trattato costituzionale. Stando alle critiche dei detrattori, la costituzione avrebbe inciso "nel marmo" alcuni aspetti del sistema economico liberale sottoposti alla supervisione della Commissione attraverso lo strumento della difesa della "concorrenza senza garanzie". Questa scuola di pensiero può essere definita come la critica "socialdemocratica" al costituzionalismo europeo, ma affermazioni analoghe, nella fattispecie riferite alla recente giurisprudenza della CGUE, sono pervenute anche da un secondo gruppo di studiosi e giudici assai più conservatori.

Il fatto è che la Corte di giustizia dell'UE ha formulato alcune sentenze molto discusse che hanno ristretto il margine di manovra dei sindacati in alcuni Stati membri. Questo aspetto, unito al controllo esercitato dalla Commissione europea sul ruolo delle radio e delle televisioni finanziate con denaro pubblico o sulle banche pubbliche tedesche, ha dato l'impressione che le barriere necessarie a difendere gli Stati dalla globalizzazione stessero crollando. Un altro elemento da considerare, a questo proposito, è il fatto che in molti programmi di studio il diritto europeo viene insegnato in modo piuttosto selettivo: fino a poco tempo fa, ad esempio, nelle università irlandesi venivano approfonditi solo gli aspetti del diritto dell'Unione riguardanti le previsioni in materia di libera circolazione.

Le richiamate sentenze della CGUE sono state interpretate, da un'altra prospettiva, come segno che gli Stati membri non sarebbero più in grado di salvaguardare un'importante elemento della loro identità costituzionale, ovvero la difesa dei diritti fondamentali non economici contro gli abusi neoliberali delle istituzioni dell'UE. Come dice Diter Grimm, un importante sostenitore di questa linea critica:

La Commissione ha interpretato i trattati a favore della liberalizzazione e della deregolamentazione. Questo priva gli Stati membri del diritto di decidere quali attività lasciare alla regolamentazione del mercato e quali destinare al servizio pubblico. Come è noto, gli Stati membri possono perseguire legalmente la Commissione in caso di interpretazioni insostenibili dei trattati o per abusi di potere. Ma la Commissione può generalmente contare sull'appoggio della CGUE. [...] Per l'UE, le quattro libertà economiche hanno la massima priorità, mentre nella Legge fondamentale e nelle costituzioni di numerosi altri Stati membri i diritti economici figurano tra i meno importanti. La Legge fondamentale (la Costituzione Tedesca viene chiamata Legge Fondamentale) considera la dignità umana come un diritto assoluto e in generale i diritti individuali, di comunicazione e culturali prevalgono sui meri interessi economici. Non è così a livello europeo. [...] La CGUE richiede addirittura che la dignità umana sia valutata tenendo anche conto della libertà imprenditoriale. [...] È questo l'aspetto surrettizio che pone maggiormente a rischio costituzioni nazionali quali la Legge fondamentale (Grimm, D., «The Basic Law at 60 – Identity and Change», German Law Journal, 11, 1, 2009, pagg. da 33 a 46).

Altri osservatori della critica conservatrice alla CGUE (e della famosa sentenza Lisbona della Corte Costituzionale Federale tedesca) hanno sottolineato che, oltre alla generica difesa della garanzia dell'identità costituzionale, la sentenza non contiene alcun elemento che possa essere interpretato come un rimprovero alla giurisprudenza liberalizzatrice della Corte di giustizia dell'UE. I paragrafi sul principio dello "Stato sociale" sono brevi e concludono semplicemente che non vi sono elementi tali da legittimare l'ipotesi che gli Stati membri siano privati del diritto e della possibilità pratica di assumere decisioni concettuali riguardo ai sistemi della sicurezza sociale e altre decisioni in materia di politica sociale e del mercato del lavoro. In netto contrasto con il generale tono critico della sentenza, la CCF cita con approvazione le sentenze della CGUE sulla cittadinanza sociale dell'UE per giustificarne la posizione.

In Italia la dignità umana è un diritto assoluto? E in generale: i diritti individuali, di comunicazione e culturali sono diritti assoluti? Prevalgono sui meri interessi economici?

L’articolo 2 della Costituzione italiana recita: La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo sia come singolo, sia all’interno delle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà, politica, economica e sociale.

Il testo, è la risultante dell’accordo, in seno alla Costituente, tra le componenti cattoliche e socialiste: esso rappresenta un compromesso che coniuga, ponendoli su di un piano di parità, i valori della dignità umana e della socialità - solidarietà.

Pur evitando un richiamo testuale al diritto naturale, dunque, i Costituenti vollero in primo luogo affermare, attraverso la citata disposizione, l’anteriorità dei diritti fondamentali dell’uomo rispetto ad ogni istituzione politica e ad ogni potere costituito. Sancirono, così, il valore primario della dignità umana e del pluralismo sociale, considerando i diritti della persona alla stregua di valori supremi, permanente validi, sottratti all’effimero gioco delle maggioranze parlamentari e, perciò, superiori alla legge, oltre che non modificabili e non eliminabili neppure dal potere di revisione costituzionale. In tal guisa, quel connotato che la tradizione riconosceva solo agli organi supremi dello Stato, l’inviolabilità, viene ora attribuito ai diritti della persona, proprio a rimarcare il suo primato sullo Stato.

Precisato ciò, è necessario ricordare che l’insularità, come in precedenza affermato, genera una condizione di evidente squilibrio dovuta sia alla collocazione geografica, sia alla posizione marginale rispetto al contesto continentale. Al contempo il senso di appartenenza alla condizione insulare alimenta la specialità della Sardegna, che si manifesta in un’identità con tradizioni culturali e storia peculiare e distintiva rispetto al resto del Paese.

L’identità di un popolo è fondata sulla sua cultura, cioè dall’insieme “degli aspetti spirituali, materiali, intellettuali ed emozionali unici nel loro genere che contraddistinguono una società o un gruppo sociale. Essa non comprende solo l’arte e la letteratura, ma anche i modi di vita, i diritti fondamentali degli esseri umani, i sistemi di valori, le tradizioni e le credenze” (Unesco, “Conferenza mondiale sulle politiche culturali”, 1982, Città del Messico).
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