Questa è la storia di un paradosso. Il pesce più pregiato, quello che spunta prezzi da capogiro nei ricchi mercati giapponesi, che suscita rancori e speranze, guerre commerciali e sgarbi, che alimenta le lobby, è un pesce che non si può pescare. E già, il Tonno rosso, nome scientifico Thunnus Thynnus, nome commerciale Tonno pinna blu, è protetto da leggi severissime adottate dalla comunità internazionale quando questa specie è andata a un passo dall'estinzione. Ma allora le tonnare? Ecco, appunto. La pesca, attentamente controllate dalle autorità marittime, è l'eccezione alla regola: il Tonno rosso, in linea di massima, non si può catturare. Così facendo, questo magnifico predatore dei mari, ghiotto di sardine e altro pesce azzurro, che ha da temere solo le orche e i più grandi esemplari di squali, si è riprodotto in gran numero e adesso ha finalmente ripopolato l'Oceano Atlantico, sua habitat naturale, e il Mar Mediterraneo, dove si riproduce. È qua che lo aspettano le tonnare fisse (quattro in Sardegna e una in Sicilia), quelle volanti e le palangare.

Le lobby siculo-napoletane

Tutto bene, quindi? Magari. La pesca del tonno è dominata da una lobby siculo-napoletana contro la quale gli impianti basati tra Carloforte e Portoscuso poco possono fare. Le tonnare sarde viaggiano al limite della sopravvivenza a causa delle quote imposte dall'Unione europea e poi applicate dal Governo italiano. Nel 2020 all'Italia sono state concesse quasi 5mila tonnellate di pescato, così ripartite tra le tonnare sarde: Isola Piana (Carloforte) 188 tonnellate, Capo Altano (Portoscuso) 130, Porto Paglia (Portoscuso) 10, Cala Viangra (Carloforte) 33, stessa quota concessa a Favignana, in Sicilia. Se si tiene presente che una tonnara fissa per andare in pareggio dovrebbe lavorare almeno 150 tonnellate, i conti sono presto fatti.

Costi e benefici

Gli impianti stabili, infatti, hanno bisogno di grandi investimenti (l'attrezzatura viaggia intorno al milione di euro) e impiegano almeno 100 dipendenti. Le tonnare volanti (reti di minori dimensioni che funzionano con 12 persone) e i palangari (pescherecci attrezzati con lunghe lenze con oltre mille ami ciascuna) possono andare in mare con un pugno di uomini. Eppure, delle 4756 tonnellate italiane, 3459 sono destinate alle 25 tonnare volanti (la gran parte siciliane e campane, una sola in Sardegna, a Oristano) e 631 ai 37 palangari quasi tutti siciliani, nessuno nell'Isola. Anche i sistemi di pesca sono contingentati: il numero di tonnare stabili e volanti e di palangari è fisso. In pratica è come un club d'élite dove nessuno può entrare.

Tra storia e leggenda

La pesca del tonno in Sardegna ha origini che sfiorano la leggenda. Una di queste parla di due marinai, i santi Pietro e Antioco, che approdati lungo le coste della Sardegna insegnarono alle popolazioni locali come catturare i tonni. Più probabilmente, questo tipo di attività ha radici che affondano nell'età nuragica (1800 a.C.), almeno stando ai ritrovamenti di arpioni di pietra e fiocine d'osso in alcuni nuraghi. Fuori dalla Sardegna, in una grotta abitata sin dal Neolitico (9.500 a. C.) nell'isola siciliana di Levanzo un graffito testimonia l'interesse dei nostri antenati per il tonno. Numerose testimonianze si trovano poi nelle civiltà cartaginesi, romane e arabe. E furono proprio gli Arabi a importare in Sardegna la tecnica di cattura con sbarramenti e arpioni. Infatti, il capo pesca si chiama ancora adesso rais, una parola di indubbia origine araba. Le tonnare poi presero piede intorno al 1587 quando il mercante cagliaritano Pietro Porta ottenne dal re Filippo II la concessione per calare le prime tonnare a Portoscuso e Santa Caterina di Pittinuri.

Una filiera virtuosa

Le tonnare fisse, quindi, dovrebbero essere la forza trainante della pesca del Tonno rosso, perché paragonabili a un'industria. Infatti, gli impianti sardi riforniscono gli allevamenti posizionati a Malta (dove poi le navi officina giapponesi stivano, lavorano e portano questo ricercatissimo pesce al mercato di Tokyo), producono il fresco da indirizzare a ristoranti tematici e di alta gamma e, infine, inscatolano per produzioni di altissima qualità. Il Tonno rosso di Carloforte è infatti il più pregiato al mondo e finisce in confezioni di pregio: un chilo di ventresca sottolio sfiora i 100 euro al chilo, contro i 34 circa di un ottimo tonno in scatola convenzionale, che di solito è della varietà pinna gialla o di altre specie ancor meno pregiate.

Alla Sardegna solo le briciole

La tonnara fissa, in sostanza, garantirebbe alto valore aggiunto, in termini di occupazione, riconoscibilità del prodotto, indotto, promozione del territorio. Il giro d'affari in Italia supera i 100 milioni di euro all'anno. La Sardegna, che pesca i tonni migliori, raccoglie le briciole. Le tonnare sarde sono posizionate nella zona sudoccidentale non a caso. Sono le prime in cui incappano i tonni, detti "di corsa", che, spinti dall'istinto, si dirigono dall'Atlantico al Mediterraneo centrale per la riproduzione. Sono i tonni migliori, con carni sode, ricche di gusto. La Sardegna, per sintetizzare, pesca i migliori tonni rossi al mondo. Uno di questi nel 2019 ha spuntato un prezzo record all'asta del pesce di Tokyo: un esemplare di 278 chili è stato venduto a 2,7 milioni di euro.

Il mercato del Sol levante

I giapponesi sono i più forti consumatori di tonno al mondo. I piatti tradizionali sushi e sashimi da molti anni hanno conquistato i mercati mondiali. In Giappone sono prelibatezze ricercatissime da una clientela di alto rango, che pretende i migliori prodotti in circolazione. La Sardegna li ha, ma servirebbe una forte alleanza tra chi pratica i tre diversi metodi di pesca per sfruttare al meglio questa risorsa preziosa. Per adesso, però, è un'occasione persa. L'ennesima. E la politica non è certo esente da colpe.

Ivan Paone

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