John Watkins Brett, ardito e intrepido ingegnere telegrafico, inglese visionario, si era convinto che l'isola di Sardegna fosse al centro del mondo. Le autorità imperiali francesi lo ascoltarono con non poco stupore quando illustrò il suo faraonico progetto di unire con un cavo sottomarino le Isole britanniche, l'Oceano Atlantico, la Francia, le Colonie e i Regni Continentali. Tutto passando per la Sardegna, sino a raggiungere la lontana colonia d'Algeria.

Brett era un tipo risoluto, non amava perdersi in chiacchiere. Non aveva mai la testa per aria, semmai nelle buie profondità del mare. È il 2 luglio del 1853 quando il governo francese e quello sardo, quello del Regno di Sardegna per intenderci, lo autorizzano ad emettere le azioni per finanziare la realizzazione di un cavo sottomarino elettrico telegrafico per collegare la Francia, via Corsica e Sardegna, con l'Algeria.

L'impresa di lord Brett

Nasce La Société du télégraphe électrique sous-marin de la Méditerranée, per la corrispondenza con l'Algeria e le Indie, tutto passando per la Sardegna. I successi di Lord Brett erano tanti e tali che il progetto non tardò a raccogliere le somme necessarie per la sua realizzazione. Il governo francese si mise d'accordo con il Regno di Sardegna, suddivisero i costi e l'opera prese il via.

Inizialmente tutto andò bene: i primi due cavi a sei conduttori furono posati nel luglio del 1854 e le linee di terra si completarono con poca difficoltà. Il 15 aprile del 1855 le 600 miglia di possenti cavi sottomarini e terrestri incominciarono a trasmettere segnali elettrici e connettere la Francia con la Sardegna. Non restava che tentare l'intrapresa più rischiosa, connettere l'isola con l'Algeria. Il 25 settembre 1855 il primo tentativo di calare nelle profondità del mare, tra le coste sarde e il Maghreb, il cavo a sei conduttori. Un peso ciclopico, sette tonnellate e mezzo per miglio. Acque troppo profonde, il cavo si ruppe. L'impresa fallì. Il secondo tentativo iniziò il 7 agosto 1856. I soldi scarseggiavano e i finanziatori imposero di dimezzare il peso del cavo sottomarino con appena tre linee di trasmissione, due per il governo francese e uno per il traffico commerciale della società mediterranea. Non andò bene. Entrambi i cavi dovevano ripartire da Capo Spartivento. Il primo fu lasciato cadere sul baluardo della nave posante e si spezzò. Il secondo arrivò a cinque miglia dalla costa algerina ma il cavo finì. La nave che lo posava rimase appesa fino alla fine in attesa di soccorsi, ma poi anche quello si spezzò.

Il 7 settembre 1857 ci fu un terzo e ultimo tentativo di posare un cavo da Cagliari a Bone, in Africa. Finì male, questa volta il cavo terminò la sua discesa nelle profondità marine a ridosso della costa sarda. Solo il 30 ottobre arrivarono altre 30 miglia di cavo e finalmente la connessione tra la Sardegna e l'Algeria cominciò a trasmettere segnali.

La strategia di Terna

Dalle pionieristiche connessioni elettrico telegrafiche di 163 anni fa a quelle di oggi. Con altri obiettivi e altri protagonisti.

Dalla Sardegna strategica e apripista nel Mediterraneo a terra marginale e subalterna nello scacchiere elettrico nazionale. Le scelte sono ormai tutte nero su bianco, dall'isolamento dalle reti del gas sino ai piani di generazione e distribuzione elettrica.

A guidare le danze è Terna, il braccio statale per la gestione delle reti. Una costola dell'Enel distaccatasi solo sul piano societario ma sempre legata a filo doppio all'ex ente di Stato. Lo scenario viene radicalmente modificato negli ultimi dieci anni. Le mosse appaiono slegate ma lo scacco matto elettrico della Sardegna è pianificato ai piani alti.

La smobilitazione energetica è strategica. L'Enel mette sotto ricatto le grandi industrie energivore dell'isola. I costi per le industrie sono insopportabili e fuori mercato, l'Europa sentenzia il 76 % in più di qualsiasi altra regione. L'Unione europea mette sotto accusa le società elettriche: in qualsiasi altro contesto i fornitori di energia elettrica avrebbero operato in regime concorrenziale abbattendo notevolmente il costo dell'energia. In Sardegna, invece, rileva l'Unione Europea, gli operatori elettrici, a partire dall'Enel, esercitano un potere monopolistico che finisce per schiacciare l'intrapresa industriale.

Lo Stato è costretto a riconoscere misure finanziarie compensative per ripristinare i prezzi che l'Enel esercitava quando era soggetto pubblico, prima della privatizzazione. Niente da fare, l'Europa non ci sta. È un aiuto di Stato e condanna l'Alcoa ad una multa da 300 milioni di euro. Il colosso dell'alluminio paga e se ne va. Da 8 anni lo stabilimento è chiuso, nonostante il ruolo strategico dell'alluminio nell'industria primaria italiana. Ancor oggi i tentativi di ripartenza si arenano sul costo dell'energia. L'obiettivo è fin troppo chiaro: chiudere la centrale di Portovesme e attaccare l'isola all'ennesimo cavo sottomarino. Dall'agognata indipendenza energetica all'eterna dipendenza il passo è breve.

La centrale di Portovesme costa troppo. Errori gestionali e costruttivi hanno pesato non poco sui conti economici dei due gruppi del Sulcis per complessivi 590 megawatt. L'Enel da anni ne annuncia la chiusura, prima in modo sibillino e poi apertis verbis . Quando il piano europeo per l'abbattimento dell'anidride carbonica ha messo sotto attacco le centrali a carbone, da chiudere entro e non oltre il 2025, nessuno nei palazzi della società elettrica si è strappato i capelli.

Il guinzaglio elettrico

Il 31 dicembre del 2018 si ferma l'unica miniera di carbone italiana. La Carbosulcis chiude per sempre. Dietro la serrata c'è ancora la mano dell'Enel. Poteva acquistare il carbone Sulcis per far marciare la centrale a bocca di miniera e, invece, niente. Preferiva il carbone extracomunitario.

Peccato che l'Unione Europea aveva inserito la miniera di Nuraxi Figus e la Sardegna tra le quindici centrali europee in cui sperimentare la cattura e lo stoccaggio della C02. Processi innovativi per rendere competitivo e strategico il bacino carbonifero del Sulcis, con davanti a se almeno altri 20/30 anni di produzione. Anche il progetto sperimentale per abbattere ogni inquinamento viene fatto naufragare. Ventiquattr'ore fa il governo ha annunciato che quella sperimentazione si farà a Ravenna.

Le pedine sono quasi tutte posizionate: chiusa la miniera, chiuse le fabbriche, entro il 2025 chiuse le centrali di Portotorres e Portovesme, 1230 megawatt di autonomia energetica destinate a scomparire senza nessun piano sostitutivo degno di questo nome. Anzi, un piano esiste, quello del guinzaglio elettrico. Terna è scientifica e cala l'asso dei cavi in fondo al mare, da nord a sud dell'isola, come se il fantasma di lord Brett non avesse mai abbandonato le coste sarde. La logica pianificata sembra quella del sottosviluppo, da perseguire e mantenere. Senza energia, del resto, non c'è futuro. Le industrie si insediano solo laddove ci sono le precondizioni strutturali e infrastrutturali per farlo, a partire da forza motrice e vapore.

La partita da chiudere

Terna è pronta a dilapidare una montagna di soldi pur di chiudere la partita della Sardegna in due mosse, la connessione elettrica a nord con la Corsica e Piombino, e poi la connessione con un cavo sottomarino direttamente tra Selargius e la Sicilia. L'operazione al nord dell'isola scatta il 13 agosto scorso. In Commissione d'impatto ambientale del ministero arriva un progetto per rimettere in sesto il vecchio tragitto del cavo Sa.Co.I, quello per la connessione tra Sardegna, Corsica e Italia. Obiettivo usarlo per trasferire in Sardegna 400 MW, ovvero un quantitativo di energia pari quasi ad una centrale termoelettrica. Il progetto viene spacciato come un potenziamento e ammodernamento del vecchio cavo del 1966, facendolo passare, però, da 200 a 400 MW. Di fatto il raddoppio della precedente capacità di trasmissione. Terna parla del Sa.Co.I. 3 con l'obiettivo di garantire maggiore stabilità e affidabilità al sistema elettrico nazionale, migliorando la qualità del servizio. In realtà servirà per mettere sempre di più la Sardegna in condizioni di assoluta dipendenza energetica dal continente.

Il cavo dal cilindro Terna lo estrae, però, con Tyrrhenian link, una connessione elettrica sottomarina, a 2000 metri di profondità, tra la Sardegna e la Sicilia. Un cavo da 522 km, da Selargius a Caracoli. Un'operazione che lievita nei costi giorno dopo giorno raggiungendo i 3,7 miliardi di investimento. L'obiettivo è esplicito: fronteggiare la fuoriuscita nel 2025 del carbone dalla produzione elettrica in Sardegna. All'isola verrà a mancare un quantitativo essenziale di forza motrice indispensabile per il presente e per il futuro. Senza considerare che i 2330 megawatt di energia rinnovabili rischiano di essere solo teorici, visto che il loro accumulo è per il momento improbabile, nonostante le batterie che Terna ha posizionato a Codrongianos. Il futuro energetico dell'isola è, per il momento, al guinzaglio dei cavi sottomarini, come ai tempi di mister Brett.

Mauro Pili

(Giornalista)
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