Il mondo delle imprese sarde, 104 mila aziende con 280 mila dipendenti, osserva la curva dei contagi guarda alla Cina sognando una ripresa graduale che attenui un impatto già devastante sull'economia, stimato ottimisticamente da Confindustria nel 10 per cento del Prodotto interno lordo a livello nazionale. In Sardegna si ipotizzano almeno due punti di Pil in più. Le aziende chiuse sono la metà, 52 mila, e per capire quando e come potranno ricominciare guardano allo Hubei, epicentro mondiale del contagio, 58,5 milioni di abitanti che dopo 62 giorni di rigorosissima quarantena hanno ricominciato gradualmente a vivere in un mondo nuovo fatto di tute bianche, distanze, mascherine e paura. Il Governo ha iniziato a ipotizzare una ripresa graduale delle uscite a fine aprile, primi di maggio. I bambini nei parchi, le aziende che possono permettersi le distanze, gli artigiani. Piccoli assaggi, nessuna abbuffata. Gli ultimi saranno i ristoranti, i pub, i cinema, le palestre.

Gli imprenditori affamati provano a guardare oltre la cortina dei debiti da pagare e delle famiglie da sfamare e progettano il futuro. I ristoratori pianificano di dimezzare i loro coperti per garantire le distanze, ragionano su un modello di business basato sul delivery, che molti stanno già sperimentando.

In Sardegna si conta sui tavolini all'aperto, valore aggiunto in un'isola con un clima di solito clemente. "Dovremo ridurre le presenze nei nostri locali ma potremo incrementare gli spazi esterni a patto che i Comuni azzerino la tassa sull'occupazione del suolo pubblico e che riaprano i bandi per la concessione delle aree", dice Giuseppe Carrus, apprezzato sommelier e proprietario di un ristorante e di un "take away" di panini gourmet a Cagliari. Che immagina nel prossimo futuro un patto tra ristoratori, gelatai, pizzaioli, gastronomi, enologi, riuniti in un'associazione che pianifichi strategie e idee per la ripresa e collabori nelle iniziative di marketing. "I più forti devono supportare i più deboli che rischiano di soccombere, dando consigli, proponendo nuovi servizi anche comuni, attivando sinergie, avviando campagne di marketing che li sostengano".

Il futuro è un'incognita gigantesca e lo sa bene anche chi è più strutturato. Efisio Mameli fa ristorazione da 25 anni, ha tre ristoranti e 24 dipendenti. "Ho pagato gli stipendi sino alla prima settimana di marzo e aiuto i miei dipendenti come posso, anche fornendo loro le scorte stipate nei frigoriferi dei ristoranti e nelle nostre dispense. Ma per ripartire abbiamo bisogno di liquidità. Il nostro fatturato è crollato e sappiamo che quando riprenderemo avremo meno tavoli e costi altissimi. Sono ottimista, ma occorre non avere il fiato sul collo dei creditori, siamo essi pubblici o privati".

Soffre il mondo dell'edilizia, 22.378 imprese che impiegano oltre 40mila addetti, le aziende artigiane lasciano a casa oltre 68mila persone tra dipendenti, titolari, soci e collaboratori familiari. Tutti sperano che il Governo allenti la presa. Ma accadrà davvero? C'è chi guarda ciò che è accaduto a Hong Kong e non ha più certezze. Dall'inizio marzo, quando l'Italia aumentava le misure di contenimento sociale restringendo, decreto dopo decreto, le libertà individuali, gli abitanti della ricca Hong Kong, che a tutti appariva come un esempio virtuoso di contenimento del Covid-19 ricominciavano gradualmente a tornare al lavoro, a utilizzare i mezzi pubblici, ad affollare ristoranti e bar. Le auto hanno ricominciato a correre nelle strade, i negozi hanno acceso le loro vetrine. L'ex colonia britannica, 7 milioni di abitanti e un Pil pro capite di 46mila dollari, sembrava salva.

Ma nell'ultima settimana i contagi sono di nuovo aumentati e il governo sta imponendo nuove misure restrittive. E così, dopo sole due settimane di parziale ritorno alla libertà, i lavoratori sono stati rispediti a casa, i parchi che avevano ripreso a ospitare bambini festanti e coppie felici di ritrovarsi sono stati chiusi, i cinema idem, sono stati vietati gli assembramenti di più di quattro persone, i bar e ristoranti hanno ridotto i coperti della metà. L'aeroporto è stato nuovamente chiuso agli stranieri. A Shanghai, 25 milioni di abitanti, è successo più o meno lo stesso. E' ciò che molti temono accada anche in Italia se non si sarà prudenti.

O forse dovremo abituarci ad aperture e chiusure frequenti, almeno sino quanto non sarà trovato un vaccino che immunizzi tutti il mondo. Uno degli scenari possibili è che quando i contagi, grazie alle misure restrittive, saranno sotto controllo e saranno gestibili dal sistema sanitario, si potranno gradualmente riaprire le attività, salvo poterle richiudere in caso di necessità. Perché il coronavirus rimarrà in circolazione ma farà meno male. Si ritirerà e quando ci saremo rilassati si diffonderà di nuovo. Insomma, ciò che sta accadendo a Hong Kong, a Shangai, a Wuhan e in tutto lo Hubei potrebbe essere un'anticipazione di ciò che succederà nel resto del mondo e a cui, forse, saremo costretti ad abituarci. Una quarantena discontinua, a corrente alternata, delle persone e dell'economia.
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