Sul latte ovino, e sul suo prezzo, spira nuovamente un forte vento di burrasca. Infatti l'obiettivo di un euro a litro, da riconoscersi agli allevatori, pare svanire per via dei prezzi, sempre molto poco remunerativi, che il mercato riconosce al pecorino "tipo romano". Per non parlare delle nubi tempestose che s'avvicinano sempre più dall'Atlantico, per via dei minacciati dazi protettivi in un mercato, quello degli Usa, che è, storicamente, il più importante (pari al 60-65 per cento) per quel prodotto che è da sempre il dominus della nostra gamma casearia. Proprio perché il destino di quei 320 milioni di litri di latte ovino è quello di trasformarsi quasi tutti in formaggio, essendone precluso l'utilizzo come alimento.

Una burrasca che non è poi un fatto eccezionale, ma divenuto ormai abituale, per via delle ricorrenti forti turbolenze sofferte da un settore influenzato da pesanti anomalie. Da quella che deriva dall'essere condizionato da un monoprodotto destinato, quasi interamente, ad un monomercato, al fatto che al progressivo incremento delle produzioni non abbia corrisposto una corrispondente risposta dal mercato, rimasto pressocché stazionario.

La prima anomalia sta proprio nel predominio del pecorino "romano" che monopolizza con quasi il 90 per cento le produzioni dei formaggi sardi dop e con oltre il 60 quelle totali dell'isola. Così, i circa 320 mila quintali di "romano" prodotti vanno ad impattare su un mercato che non ne assorbe più di 250 mila, provocando, come è facile capire, continue alterazioni e volatilità nei prezzi.

Una seconda riguarderà proprio il mercato dei formaggi pecorini. Che da alcuni anni vede piuttosto ferme, quasi ovunque, le tipologie a lunga e media stagionatura (come il "romano"), destinate prevalentemente alla grattugia. In particolare, il mercato americano ha visto incrementare sempre più la presenza di altri validi e agguerriti competitors, mentre sono rimasti stabili gli altri mercati tradizionali come quello dell'area napoletana. Nel frattempo, si sono sempre più diffusi, con interessanti percentuali di crescita, i pecorini da tavola, dolci e molli.

Infine, un'altra anomalia la si riscontra nella trasformazione. Per via delle profonde diseguaglianze (di dimensione e di capacità) che lo contraddistinguono. Infatti, della quarantina circa di caseifici operanti nell'isola, che si dividono un monte ricavi attorno ai 450 milioni di euro, quasi il 60 per cento della produzione fa capo a non più di una decina di aziende, mentre il restante 40 va attribuito alle altre, quasi tutte cooperative e produttrici di solo "romano", molte delle quali con ricavi insignificanti. Di fatto paiono imprese terziste che lavorano "per conto", suddite tra l'altro di disinvolti intermediari commerciali forestieri.

Per risolvere la "questione latte" occorre quindi rimuovere queste anomalie, riordinando radicalmente l'intera filiera. In modo da poter allentare la stretta dipendenza tra i due prezzi, del "romano" e, in discesa, del latte. Facile a dirsi ma alquanto complicato a farsi. Soluzioni? Il primo problema da affrontare non può che essere quello di rivedere gli indirizzi produttivi, con una gamma di pecorini più equilibrata fra stagionati e freschi, visto che, fatta eguale a 100, la domanda attuale dei mercati varrebbe 40 per i primi e 60 per i secondi. Un altro aspetto riguarderebbe la necessità di superare le dimensioni lillipuziane di troppe aziende, favorendo trasformazioni, innovazioni e possibili accorpamenti.

Le soluzioni indicate chiamano in causa la politica. A cui si chiede di abbandonare gli inutili provvedimenti tampone per predisporre con urgenza una riforma del settore, promuovendo e sostenendo - con una legislazione ad hoc - accorpamenti societari, avanzamenti produttivi e competitività commerciali. Soprattutto nel rispetto di quel precetto che indica la necessità di produrre quel che si è in grado di vendere, piuttosto che cercare di vendere, come oggi accade, quel che si produce. Basterebbe che anche da noi, i responsabili politici, dal governatore Solinas all'assessora Murgia, studiassero quel che le coop rosse e bianche "inventarono" con il modello Granarolo, una "conglomerate spa" che oggi gestisce, con crescenti successi, una quarantina di ex caseifici sociali allora in gravi difficoltà.

PAOLO FADDA
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