Da vent'anni esatti Bruno Arcieri, personaggio nato dalla fantasia dello scrittore toscano Leonardo Gori nel 2000, è uno dei personaggi più seguiti della narrativa italiana. In questa doppia decade, infatti, è stato protagonista di una dozzina di romanzi che lo hanno visto prima giovane e integerrimo capitano dei Carabinieri nell'Italia degli anni Trenta. Poi ufficiale dei servizi segreti con sempre più domande dentro il cuore e la mente fino ad arrivare all'Arcieri di fine anni Sessanta, attempato, ma ravvivato da nuove consapevolezze e da una maggiore libertà di spirito. Nella sua ultima avventura, Il ragazzo inglese (Tea, 2020, pp. 288, anche e-book), lo incontriamo invece nella primavera del 1940, in un'Italia fascista sempre più in bilico tra non belligeranza e guerra al fianco dell'alleato tedesco. Arcieri si trova a Firenze con l'amata Elena Contini, sempre più colpita, in quanto ebrea, dalle leggi razziali volute da Mussolini. Da ufficiale Arcieri si sente costretto a compiere il suo dovere e a essere fedele alla patria. Nello stesso tempo crescono i suoi dubbi nei confronti del regime e le apprensioni per una guerra che sente di non condividere per nulla.

Improvvisamente, Arcieri ha la possibilità di entrare in possesso di importanti documenti che potrebbero aiutare chi vuole mantenere l'Italia fuori dal conflitto. Il prezzo da pagare è però, per il nostro protagonista, quasi intollerabile: aiutare un giovane inglese a sfuggire all'inevitabile arruolamento nelle file del suo Paese. Arcieri è furioso per quella che ritiene una vera diserzione, ma non potrà fare finta di nulla. Ancora una volta si ritroverà a prendere decisioni che lo porteranno a fare i conti con la propria coscienza. Una coscienza sempre più agitata come ci conferma l'autore del libro, Leonardo Gori:

"Arcieri aveva già cominciato a nutrire dei dubbi, a cambiare il suo punto di vista nel romanzo precedente, La nave dei vinti, quando era riuscito a immedesimarsi nei profughi che tornavano da sconfitti dalla Guerra di Spagna vinta da Franco. Da uomo dotato di spirito critico, nonostante viva in un’epoca di grande conformismo e grande adesione al Fascismo, intravede, infatti, che non tutto si esaurisce nel consenso al Regime e si apre al diverso da sé. Questo cambiamento di Arcieri si accentua nel Ragazzo inglese e il mio protagonista comprende di non essere quello che crede. E di avere grandi debolezze".

Lei racconta Arcieri da vent'anni attraverso varie fasi della sua vita e della storia italiana. Ma cosa l'affascina tanto di questo personaggio?

"Arcieri ha saputo imporsi. Quando ho cominciato a scrivere trovavo presuntuosi quegli scrittori che dicevano: 'Non sono io che racconto le storie, è il mio personaggio che me le narra'. In realtà avviene proprio così perché all'inizio non si conosce minimamente il personaggio che si vuole raccontare. Si sviluppa grazie alla somma dei tanti tasselli che compongono la vita di uno scrittore: le cose che gli accadono, le persone che incontra. Ogni personaggio è, quindi, composito e si rivela romanzo dopo romanzo. Nella sua prima avventura, Nero di maggio, Arcieri doveva più che altro fare da spalla al vero protagonista della storia, un gerarca fascista modellato sulla figura di Alessandro Pavolini. Poi è cresciuto, si è imposto e ho dovuto fare i conti con lui, anche con i suoi tanti aspetti negativi".

In effetti, l'Arcieri degli anni Trenta non è certo un simpaticone…

"È un po' troppo rigido, manicheo, anche antipatico. Poi nel corso degli anni cambierà come sanno coloro che hanno letto i romanzi ambientati negli anni Sessanta e lo ritroveremo in una comune disposto anche a provare uno spinello. Però il cambiamento arriva da lontano, dagli eventi che racconto proprio nel romanzo appena uscito".

Un romanzo dove emerge come anche nell'Italia fascista del 1940, monolitica all'apparenza, ci fossero molte anime, posizioni sfumate di cui tenere conto. Era veramente così?

"Io non faccio lo storico e non voglio insegnare niente a nessuno. Rilevo, però, come in troppi romanzi ambientati negli anni del Ventennio e della Seconda guerra mondiale tutto si riduca a una divisione manichea tra fascismo e antifascismo. Certo, sono due categorie importanti e che hanno ragione di esistere, però la realtà era meno granitica. Accanto al fascismo di Mussolini, che era dominante, esistevano anche altri fascismi, come quello di Berto Ricci. Fascismi che non vanno assolutamente assolti, intendiamoci, ma che vanno raccontati nelle loro peculiarità. Esistevano poi personaggi che non erano esattamente quello che sembravano. Esistevano persone che non erano né del tutto buone, né del tutto cattive e mi piace raccontare questo tipo di caratteri e di situazioni. Cerco quindi restituire la complessità degli eventi e dei protagonisti. Semplificare in maniera ossessiva non porta a nulla, a mio parere".

Torniamo ad Arcieri per un'ultima domanda. In cosa il suo protagonista è tipicamente italiano e in cosa non lo è?

"È più facile dire in cosa non è italiano. Arcieri non ha la famosa arte d'arrangiarsi dell'italiano medio. È, piuttosto, l'uomo del 1848, del Risorgimento, di Vittorio Veneto si sarebbe detto un tempo. Insomma, l'italiano che non si arrende, che resiste e che non cerca scorciatoie. È l'italiano che se la gioca fino in fondo. Per fare un paragone calcistico è '’italiano di Italia – Germania 4-3 ai Mondiali di calcio del 1970".
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