Ha solo diciannove anni Arthur Rimbaud quando consegna alle stampe il suo capolavoro, Una stagione all'inferno. È il 1872 e il volume, parte in poesia e parte in prosa, lo impone come uno degli autori simbolo del suo tempo. Rimbaud, personalità fuori dagli schemi, spirito ribelle e animo inquieto, con la sua penna riesce come pochi nella storia della letteratura a dare voce al tormento che accompagna tutti coloro che indagano gli abissi più profondi dell’animo umano e cercano quasi disperatamente un riscatto. Questa indagine e questa ansiosa ricerca vengono espresse da Rimbaud con uno stile sorprendente per il suo tempo, così originale da essere immortale e capace di affascinare il pubblico di ogni tempo. A dimostrarcelo una volta di più è la nuova traduzione di Una stagione all'inferno curata dal poeta e drammaturgo Carmelo Pistillo per la casa editrice La Vita felice (2020, pp. 217, testo francese a fronte). A Carmelo Pistillo chiediamo come prima cosa come è nata questa nuova traduzione del capolavoro di Rimbaud:

"Avevo cominciato a tradurre la Saison a vent'anni, più o meno all'età in cui Rimbaud ha cessato di scrivere. Quel primo abbozzo, quei primi esercizi fitti di correzioni giacevano nel cassetto come tanti cimeli, ricordi di un apprendistato lontano e sepolto. È stato il mio editore a convincermi a riprendere in mano quel lavoro giovanile e accettare questa sfida, la sfida di misurarmi con un poeta che non mi assomiglia, e che, più di altri, insieme a Mallarmé ha rivoluzionato la forma poetica, annunciando il nuovo secolo. Ho violato perciò l’urna segreta di questo adolescente che in soli cinque anni ha scritto parole così radicali da lasciare atterriti anche grandi poeti, incapaci di tali traguardi nel corso di lunghe carriere letterarie".

Quali difficoltà ha incontrato nella traduzione?

"Tradurre Rimbaud ha significato entrare in una foresta di simboli e in una camera oscura, sperando di trovare una via d’uscita. Nei suoi versi ci sono contraddizioni e capovolgimenti di senso talvolta spiazzanti. Viene voglia di lasciar perdere. Ma il personaggio Rimbaud è stato più forte della mia paura di cimentarmi con un gigante. Come certe maschere pirandelliane, dopo alcuni decenni, mi è venuto a cercare. E pur essendo, rispetto a lui, poco più di un nano, mi è mancata la viltà o il coraggio, dipende dai punti di vista, di nascondermi. Ho quindi trasformato un fantasma in un oggetto di studio".

Cosa rappresenta per lei questo libro?

"Una scommessa vinta. Era accaduto anche con van Gogh, a cui ho dedicato anni fa un dramma che ha avuto una travagliata gestazione. A un certo punto, per liberarmi di van Gogh, ho previsto la mia presenza come autore sulla scena. Con Rimbaud credo di aver realizzato un documento indispensabile a chi voglia studiarlo senza pregiudizi. Ne rivendico pertanto l’unicità in virtù anche dell'articolato saggio che ripercorre la sua opera attraverso il sentimento del dovere e riferimenti letterari e teologici mai approfonditi in altri testi, una vasta bibliografia e un percorso iconografico con i disegni di Rimbaud decenne. Insomma, il mio obiettivo è stato quello di scrivere un libro con un’architettura solida, creativa e rigorosa. Il mio Rimbaud comprende pure un'antologia rimbaudiana, mai realizzata prima d'ora. In questa sezione del libro sono raccolte non solo quaranta testimonianze di autori del passato ma anche ventiquattro interpretazioni di poeti viventi. Non era mai stato fatto prima d'ora. Un vero pantheon 'lirico', un libro nel libro".

Cosa ha rappresentato Rimbaud per i tanti poeti presenti in questa edizione di "Una stagione all'inferno"?

"L'occasione di lasciare traccia del loro rapporto letterario con questo poeta smisurato. Pur avendolo letto e amato, alcuni di loro, parlo degli autori contemporanei, naturalmente, non avevano mai scritto nulla sulla sua poesia e su ciò che ha rappresentato nella loro formazione letteraria. Ne è venuto fuori un affresco critico, una confessione corale di un amore che dura nel tempo e costituisce, per alcuni di loro, un modello insuperabile".

Cosa riesce ancora a dire Rimbaud a noi uomini di questo tempo?

"Rimbaud ha scritto che la vita è più d'una. La sua doppia esistenza, prima come poeta e poi nelle vesti di trafficante d'armi in un paese straniero, ne è la prova. Moravia ha detto che, quando era malato, leggere Rimbaud gli ha salvato la vita. Per me è stato un percorso poeticamente riabilitativo.

Alcuni traduttori sostengono che tradurre sia anche tradire, ma Rimbaud, già trasgressore dei canoni del suo tempo, con la sua ineffabilità impedisce questo tradimento. Chiede fedeltà anche alle sue oscurità e precipizi verbali. Suo malgrado, rimane uno dei padri spirituali della poesia moderna perché cammina ancora fra noi. Per chi scrive o più semplicemente ama la poesia, è quasi un dovere seguirne la scìa per respirare la sua sete di assoluto e il suo dirompente dettato poetico".
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