Sulla Bastiglia sventola (idealmente) la bandiera dei quattro mori. Perché, senza la Sardegna, la Rivoluzione francese sarebbe, probabilmente, andata in maniera completamente differente. Un'esagerazione? Assolutamente no. Nelle vene di uno dei protagonisti di quegli eventi, Jean Paul Marat, scorreva sangue sardo. Non bisogna soffermarsi esclusivamente sulle biografie ufficiali che lo definiscono "uomo politico francese", nato a Boudry, Neuchâtel (Svizzera) nel 1743. Tutto vero, ovviamente. Quello che, però, non dicono (o, per lo meno, lo dicono soltanto alcune) è che Marat era figlio di Giovanni Mara, ex frate cagliaritano di Santa Maria della Mercede.

Certo, occorre fare tanta strada per passare dalle anguste strade della Cagliari (e, in particolare, della Marina dove il futuro frate fu battezzato) della prima metà del Settecento sino alla Bastiglia. Proprio quella strada che, prima Giovanni Mara e poi Jean Paul Marat, fecero. Un percorso che, come ricostruisce Carlo Pillai, ex sovrintendente archivistico della Sardegna, autore di tanti articoli sul rivoluzionario francese, cominciò il 10 agosto 1720 quando Giovanni (anzi, basandosi sul nome presente negli archivi Juan Salvador) Mara divenne, a sedici anni, frate mercedario. Sei anni dopo fu nominato diacono e poi lettore. E, con quell'incarico, fu inviato a Bono in un convento appena istituito. Ma, evidentemente, in quella famiglia scorreva già sangue rivoluzionario: si scontrò quasi subito con l'autorità civile a causa di quote arretrate che il convento avrebbe dovuto versare alla Corona. Il primo di una serie di scontri. Al punto che il viceré, conte d'Apremont, ordinò un'inchiesta e chiese ai vertici mercedari di farlo rientrare a Cagliari "dove", si legge nei documenti, "l'avrebbe convocato alla sua presenza per comunicargli il meritato castigo". Così, intorno al 1740, resosi conto del fatto che rischiava tanto, fuggì in Svizzera dove si convertì al calvinismo e sposò la sedicenne Louise Cabrol, nata a Ginevra da un parrucchiere svizzero, figlio di ugonotti francesi originari delle Cevenne. In quella città, lavorò come disegnatore per un'industria tessile ed ebbe cinque figli, Marianne, Jean-Paul, Henri, Marie, David, Albertine e Jean-Pierre. Che finirono che l'ereditare lo spirito rivoluzionario del padre: Henri, emigrato in Russia, insegnò letteratura francese nel prestigioso liceo di Carskoe Selo (a una trentina di chilometri da San Pietroburgo), dove ebbe tra i suoi allievi Alexander Puškin; David partecipò ai moti democratici di Neuchâtel dal 1776, perdendo un occhio durante una manifestazione; Jean-Pierre, orologiaio a Ginevra, anche lui portatore di idee radicali, ospitò nella sua casa il rivoluzionario italiano naturalizzato francese Filippo Buonarroti.

La vicende e lo spirito rivoluzionario di Jean Marat, compreso il suo omicidio da parte di Carlotta Corday, li abbiamo studiati a scuola. Resta soltanto da capire la ragione per la quale Mara è diventato Marat. François Chèvremont, uno dei suoi biografi, racconta di aver ricevuto una lettera dal nipote, Giovanni Mara, nella quale racconta che fu lo stesso Marat a scegliere di aggiungere una "t" finale al suo cognome per renderlo più francese. Cosa decisamente credibile dal momento che il resto della famiglia, come dimostrano documenti degli anni successivi, conservò il cognome originale. Altri documenti, invece, danno un'altra spiegazione: in una lettera del 15 novembre 1775, inviata a F.-S. Ostervald (conservata nell'Archives de la Société typographique de Neuchâtel), Giovanni Mara avrebbe spiegato l'aggiunta di quella "t" finale nel cognome del figlio con l'esigenza di non essere confuso con un altro ramo dei Mara, residente in Irlanda.

Nessun dubbio, comunque, sul fatto che la Rivoluzione francese avrebbe avuto un altro corso se non ci fosse stato il coinvolgimento di un uomo targato quattro mori.
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