C'è il punto di sensibilità erogena "G" e c'è il valore economico "W" di un'impresa o di attività diverse. Entrambe queste entità sono difficili da individuare con esattezza, da qualificare fisicamente o matematicamente, e diversi ricercatori le considerano solo una forma di obiettivo mitologico, il punto "G" derivante da antiche credenze orientali, il valore "W" una forzatura d'ordine pratico in quanto, in qualche modo, a un certo momento, occorre far incontrare domanda e offerta.

Proseguendo solo sul tema del management, la determinazione del valore economico, comunque necessaria per valutare la qualità della gestione, per ottemperare alle leggi sui conferimenti di beni, sulle liquidazioni, ecc., oppure per la compravendita di un'attività, questa determinazione - dicevo - segue tecniche che nel tempo sono evolute in funzione della crescente intangibilità dei beni.

Non si vende una macchina ma un sogno, non si compra una bottiglia di vino ma un mondo. Il marchio, l'ispirazione, la storia, gli stessi contatti (un click di tastiera o un "mi piace") hanno un valore sempre più rilevante, ma come valutarli?

I metodi, nel passato strettamente basati su principi reddituali, hanno oggi raggiunto sofisticazioni tali da richiedere formule matematiche complesse sino a software dotati d'intelligenza artificiale. Valutare un'impresa è una disciplina complicata, incerta. E pur sempre rimane un grande spazio per la sensibilità e l'esperienza umana.

Ciò perché tra i molteplici fattori da considerare, le valutazioni riguardanti ad esempio le possibili opzioni strategiche necessitano, in ogni caso, di un occhio specifico e d'una conoscenza allargata. Comprare un'attività che "ha messo tutte le uova in un paniere" è infatti molto più rischioso dell'investire in un sistema che abbia vie di fuga, diverse uscite, possibilità di diversificare, di deglomerare, ecc.

Provoco: che valore ha oggi il marchio Sardegna quando le opzioni strategiche a disposizione sono state drammaticamente e scientemente ridotte nel tempo? Il futuro industriale soccombe a diseconomie insulari, a una tremenda storia di corruzione e alla colpevole non applicazione della zona franca, che cambierebbe le prospettive. Quello turistico soffre della mancata continuità territoriale, cui sembra impossibile opporsi, e dunque della competizione sbilanciata, a iniziare dalle stesse regioni italiane. Quello agro-pastorale si scontra con una limitatissima conoscenza dei mercati esteri, sinora affrontati con un solo ariete, il pecorino romano, e col fallimento della cooperazione classica, ideologica, invece del perseguimento di efficaci e complete strategie di filiera, sino alla distribuzione.

Coscienti di questo quadro, come reagiamo alla notizia, riportata per prima da L'Unione Sarda, che l'assessore regionale al turismo Gianni Chessa intende portare i Giganti di Monte Prama in Russia, in Germania e in Spagna? Positivamente, e per diverse ragioni che si legano al discorso fatto in precedenza. In primis, l'archeologia, ricca di decine di migliaia di tesori, rappresenta un'opzione strategica che sarebbe criminale trascurare. Di fronte a un sistema come quello dell'archeologia sarda, bloccato da corporativismo, cultura negazionista e localismi ingiustificati (il sindaco di Cabras eccepisce, ma perché Monte Prama non è stata dichiarata zona archeologica, perché è stato permesso l'impianto della famigerata vigna?), l'unica mossa valida è quella di "deglomerare", in altre parole di portare una parte d'impatto del sistema fuori dal circolo di chi lo tarpa utilizzando ogni cavillo possibile.

Secondo, perché è assolutamente normale e giusto mostrare i nostri tesori artistici all'estero, anche uno per volta - chi l'ha detto che ci deve essere il corpus completo? Nel 2014, ad esempio, l'allora Console Generale Italiano, Alessandra Schiavo (che quest'ottobre, quale Ambasciatrice in Myanmar, ha ospitato a Yangon le serate di promozione della Sardegna), ha portato a Hong Kong il famosissimo dipinto di Caravaggio, "Cena in Emmaus", un solo meraviglioso quadro, nel giusto contesto. Il successo è stato travolgente.

Ancora, perché noi siamo sardi, non stanziali (è proprio quest'ultima la fantastoria, la fantarcheologia!), usi a portare le nostre conoscenze, la nostra arte e la nostra guerra competitiva e culturale in terra straniera. Dobbiamo affrontare l'estero in loco, non morire qui di assistenzialismo, d'ideologia e d'invidia.

Insomma, questa decisione migliora la nostra immagine, la nostra valenza all'estero, il valore "W" della Sardegna. E purtroppo non ci sorprende che siano in tanti a dire no senza peraltro proporre qualcosa di meglio e di concreto.

Ciriaco Offeddu
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