I responsabili del disastro ambientale intorno alla miniera d'oro di Santu Miali a Furtei, 350 ettari in gran parte impregnati di metalli pesanti come ferro, manganese, rame e zinco, sarebbero i titolari della società che ha gestito l'attività estrattiva mostrando, secondo le accuse, un totale disinteresse per le condizioni del territorio e per i conti aziendali. Al termine di indagini complesse, vista la nazionalità e la residenza straniera delle persone chiamate in causa, il pm Daniele Caria ha chiesto il rinvio a giudizio di Steward James Grant, McEwen Brian Roy e William Redmonty: i primi due canadesi, il terzo statunitense. Però è stato possibile rintracciare solo Grant, dunque è probabile che l'udienza preliminare, da fissare, sia celebrata solo a carico di quest'ultimo.

L'ABBANDONO - Le indagini erano state avviate nel 2008 all'arrivo di una nota informativa del Noe dei carabinieri, che segnalavano una situazione difficile dal punto di vista ambientale. Un anno dopo era fallita la Sardinia Gold Mining: l'azienda nel 2003 aveva ottenuto la concessione per l'attività estrattiva ma l'oro, seppellito fra tonnellate di materiale di scarto, era costoso e difficile da estrarre e inoltre la miniera non poteva espandersi per la presenza della centrale idroelettrica di Sa Forada da una parte e della base militare di Monte Ollasteddu dall'altra. Così gli impianti erano stati abbandonati e nel 2009 la Sgm aveva chiuso i battenti portando i libri in Tribunale. Ne era derivata l'apertura di un'inchiesta della Procura di Cagliari per bancarotta, col pm Liliana Ledda, seguita da quella per disastro ambientale del collega Caria. Le colline erano sventrate, gli invasi pieni di residui pericolosi derivati dalla lavorazione dell'oro.

LE SPESE - Il magistrato inquirente aveva chiesto alla Forestale di Cagliari e della stazione di Sanluri di capire a che punto fosse l'obbligatoria bonifica, quanto fosse stato speso e da chi. Nel gennaio 2014 erano state depositate le conclusioni: ancora nel dicembre 2013 gli interventi (in carico all'Igea) non erano cominciati. La bonifica, secondo quanto ricostruito, era a carico dell'azienda, che invece si era lasciata alle spalle un sito ormai dismesso con un bacino degli sterili dal quale filtravano solfati e cloruri, piombo, zinco, argento, rame. La Regione allora aveva dovuto pagare gli stipendi degli operai (quelli licenziati dalla Sardinia Gold Mining) per lasciare in funzione 24 ore su 24 le pompe (che riportano nell'invaso l'acqua fuoriuscita dallo stesso bacino) e tenere sotto controllo il livello dei laghi, i quali inoltre contenendo liquidi molto acidi corrodevano quelle pompe rendendo necessaria la loro sostituzione ogni quattro mesi. Altissime le spese: secondo la Forestale, fino ad allora 8 milioni (pubblici) tra studio della situazione, stipendi degli operai, manutenzioni e attività degli impianti.

IN CANADA - Qualche anno fa gli investigatori hanno scoperto che la "Sargold", società canadese nata nel 2003 per sfruttare il sottosuolo di Furtei e che deteneva il 90 per cento delle quote della Sgm, sembrava essere ricomparsa proprio in Canada col nome di "Rosemont Copper company". Controllata dalla "Augusta resource company", la società aveva chiesto la concessione per sfruttare un giacimento di rame su circa 1.214 ettari a 60 chilometri a sud di Tucson in Arizona, negli Stati Uniti.

Andrea Manunza

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