I l presidente del Consiglio non era, fino a un paio di anni fa, un politico di professione ma si è adattato benissimo al suo nuovo ambiente. Ha istinto e capacità manovriera. Ma la sua è una navigazione complessa. Da “avvocato del popolo” ad affidabile interlocutore dei partner europei, Conte non incarna una visione dai contorni precisi. Interpreta alla perfezione i sentimenti dominanti nei palazzi romani ma, ogni tanto, questi sono contraddittori.

La burocrazia e i tecnici del diritto disprezzano il ceto politico, forse ancor più di quanto non facciano gli elettori. Ma temono anche gli agglutinamenti di potere in capo a una stessa persona. Nell'immaginare una struttura piramidale, con l'obiettivo di scavalcare governo e parlamento, per la distribuzione dei fondi del Recovery Fund, Conte ha contato sul primo sentimento e non ha considerato il secondo. Era convinto di incassare il consenso di chi sogna processi più decisionisti di quelli tipici del nostro anchilosato bicameralismo paritario. Invece ha incontrato scetticismo e timori comprensibili: può un Paese affidarsi a una striminzita cabina di regia (un premier, due ministri, sei “gestori”) per spendere 240 miliardi considerati da tutto l'arco costituzionale una sorta di manna dal cielo? Ha senso assumere un piccolo esercito di nuovi tecnici/consulenti, alla bisogna, quando la Banca d'Italia, per fare solo un esempio, è una tecnostruttura che potrebbe tranquillamente mettere a disposizione parte dei propri economisti?

Q uel che più conta, è possibile cominciare da un organigramma e non da un criterio, per decidere spese di questo rilievo?

Nel merito delle diverse “missioni”, per svolgere le quali quei quattrini andranno impiegati, salta all'occhio che la cenerentola è proprio la sanità. Non abbiamo voluto utilizzare il Mes sanitario e, con un primato per nulla invidiabile quanto a morti da Covid in Europa, per qualche motivo ci ostiniamo a non considerare prioritario rafforzare la nostra capacità di cura.

Il dubbio che viene è che, prima di metterci più fondi, si stia aspettando la fine dell'epidemia. Così quando finalmente avverrà, partirà uno scontro all'arma bianca sulle responsabilità, con la sinistra che attaccherà i governi locali e la destra che dovrà difenderli, dal momento che sono frequentemente sua espressione. L'esito di quella battaglia ideologica potrà essere una nuova centralizzazione del servizio sanitario nazionale, oggi articolato su base regionale. Solo allora, forse, il governo di Roma aprirà con piena convinzione la borsa.

Col suo tentativo di concentrare le responsabilità e le risorse del Recovery Fund in una struttura parallela, Conte ha forse fatto il passo più lungo della gamba, non ha calcolato bene le reazioni dei suoi azionisti (i partiti) e dei suoi tifosi (i funzionari). Eppure, sotto alcuni aspetti, egli ha solo continuato su una strada che aveva già percorso con la loro complicità: quella che porta, per quanto in forme più garbate e istituzionalmente coerenti dello sgangherato comizio di Salvini sui “pieni poteri”, proprio lì. Verso l'aumento dei poteri in capo alla sua figura e, quel che più conta, all'ufficio che essa ricopre.

Il realismo politico ci insegna a non guardare solo agli uomini e anzi a non pensare che la partita fra le diverse individualità sia tutto ciò in cui si esaurisce la politica. Per carità, contano le intemperanze dei Renzi e i giochi degli Zingaretti e dei Di Maio. E vedremo, a questo proposito, se la verifica di governo sarà alla fine, come è probabile e come finora è apparso, solo una inutile e stucchevole perdita di tempo.

Ma ci sono tendenze di fondo, che ciascuno di questi individui subisce anche quando crede di cavalcarle. Quando parliamo di imprese private, noi diciamo che esse tendono a “massimizzare i profitti”. Sappiamo che non tutte fanno profitto e che gli imprenditori sono, come tutti gli esseri umani, diversi l'uno dall'altro: c'è chi desidera soprattutto il guadagno, chi sogna di fare la storia, eccetera.

Che cosa massimizza, invece, la politica e con essa gli uomini politici? Il potere. Ci sono esponenti politici più o meno scaltri, più o meno spregiudicati, ma un po' per convinzione (chi può gestire i problemi meglio di me?), un po' spinti dalla fame di nuove competenze delle burocrazie, è rarissimo che essi operino per ridurre e circoscrivere il campo delle loro competenze.

Così accade oggi in Italia. Il problema non è discutere del fatto che l'emergenza ci sia o meno. C'è, è indubbio, ce ne accorgiamo drammaticamente ogni giorno. Ma è invece come reagire a quella che è la naturale tentazione di chiunque detenga il potere politico: far fronte all'emergenza aumentando il proprio raggio d'azione. Nei Paesi normali, contenere gli slanci del governo è il lavoro dell'opposizione. Nei Paesi normali.

ALBERTO MINGARDI

DIRETTORE DELL'ISTITUTO

“BRUNO LEONI”
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