L a lingua, sostengono gli storici, è il più importante segno distintivo di un popolo. La sua storia ne racconta le battaglie civili e militari, il sudore e le lacrime, la musica e la poesia, la politica e lo sterco. “Anche” lo sterco, non “soltanto”, come i fanatici dell'antipolitica intendono. È questa l'idea fissa che sta alla base del loro modo di governare ora che in Italia hanno conquistato il potere approfittando di una crisi d'identità della nazione. La lingua custodisce il passato, dà senso e orgoglio al presente. In essa riconosciamo le glorie e le miserie degli antenati, i successi e le sconfitte. La lingua unisce, è il collante che fa di una popolazione un popolo. Per questo oggi una classe politica che mira al “divide et impera” la sta meticciando. Più la lingua sarà equivoca più sarà facile, sostiene il filosofo Michel Onfray in “Teoria della dittatura”, abolire la libertà. Obiettivo al quale si perviene praticando una lingua ibrida, piegata alla velocità dell'oralità e non alla meditazione dello scritto, ricorrendo a codici con doppia valenza, distruggendo parole, introducendone altre di lingue straniere e incomprensibili ai più. L'operazione, come a nessuno sfugge, è in corso. Ma la democrazia non corre rischi: il dittatore in erba è soltanto un domatore di grilli.

TACITUS
© Riproduzione riservata