O ggi la prendo da lontano per approdare a una questione linguistica. Papa Francesco è personaggio che tiene la scena mondiale da grande protagonista. Le sue parole viaggiano da un emisfero all'altro alla velocità della luce; le sue idee in materia di fede cattolica sono sottoposte a esegesi come passi biblici; ogni suo gesto diventa documento fotografico e televisivo. Perciò è molto accorto e misurato. Anche la Chiesa deve fare i conti con l'invasività dei mezzi di comunicazione attuali, predatori di immagini e dalla memoria infinita, che conserva anche ciò che si vorrebbe far dimenticare. Come l'ormai famoso “schiaffo sulla mano” che Bergoglio diede a una fedele asiatica petulante. Un episodio che nei giorni scorsi molti media hanno rievocato. Di nuovo, ora come allora, sono ricorsi alla stessa locuzione: “schiaffo sulla mano”. Alle scuole elementari mi insegnarono che lo schiaffo è un colpo dato a mano aperta su una guancia. Solo sulla guancia. Come una sculacciata è una percossa data sul sedere. Soltanto sul sedere. C'è chi sostiene, a difesa della propria ignoranza, che la lingua si evolve. È vero. Ma gli strafalcioni sono e restano tali. Come dire, parlando per esempio di un ministro, che ha ricevuto una sculacciata in faccia. Sbagliato. (Ma, a seconda del soggetto, non del tutto).

TACITUS
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