L e chiamano aree bianche. In tempi di pandemia il pensiero corre subito alle zone rosse e quindi suona come una cosa buona. Non lo è. Le aree bianche sono quelle considerate «a fallimento di mercato» nel dizionario della comunicazione elettronica.

Nessuno ha interesse a investire. Le compagnie, come le banche, si sa, non sono istituti di beneficenza.

L a nostra Isola ha un'alta densità di aree bianche. Una doppia beffa per centinaia di migliaia di sardi, pensando a quanto il web consenta di evadere da questi interminabili arresti domiciliari. Ci dicono, però, che siamo messi meglio di altri. Sul sito governativo bandaultralargaitalia.it si legge che «le unità immobiliari raggiunte», in Sardegna, sono il 60,3%. La media nazionale si ferma al 58. Statistiche. La realtà è che dal Gerrei al Logudoro, dal Sulcis alla Gallura dobbiamo fare i rabdomanti per una telefonata. Sapete quante volte mi è capitato di sentire un sindaco suggerirmi di andare «dietro la chiesa» o «in fondo alla strada» per beccare la linea? Troppe.

La rivincita contro l'isolamento era partita concretamente da Sant'Andrea Frius, 8 luglio 2016: taglio del nastro per la posa della fibra nel primo dei 313 Comuni su 377 «a fallimento di mercato». Parliamo di 535 mila sardi. Soldi regionali (56 milioni di euro) affidati a Infratel, società pubblica per lo sviluppo della banda larga. Fine lavori: dicembre 2017. No, certo, la scadenza non è stata rispettata. E anche dove l'infrastruttura è arrivata, la fibra è rimasta spenta. Pochi abitanti, pochi contratti, pochi affari.

Ma poi venne il Covid-19. E il Cura Italia. Serve più banda: smart working, lezioni a distanza, videoconferenze (Governo in primis). E così il 2 aprile Infratel e Tim annunciano il via, in tandem, alla corsa contro il tempo in 8 regioni, Sardegna compresa. E pensare che il 6 marzo, un mese prima, l'Antitrust aveva multato Tim per aver ostacolato lo sviluppo della fibra. Ma si sa, il virus e l'emergenza hanno cambiato il mondo. E così via libera, nelle nostre aree bianche, con Tim e Infratel in regia, all'accensione della fibra in 169 Comuni. Tecnici e operai lavorano come mai prima. Chiusi gli alberghi, dormono in camper e, autocertificazione in tasca, superano i posti di blocco.

Aspettando il miracolo, «il divario digitale è anche divario culturale», ha detto a L'Unione Sarda la sindaca di Fonni, Daniela Falconi. Emilio Lussu si sarà rivoltato nella tomba leggendo, sempre sul nostro giornale, le dichiarazioni del vicesindaco di Armungia, Antonio Quartu, già dirigente dell'assessorato regionale agli Affari generali. «Qui non esiste una smart tv, il 4G. Abbiamo portato la fibra in quasi tutti i piccoli centri dell'Isola, ma nella gran parte è spenta. Non porta utili alle compagnie», ha detto Quartu al nostro Vito Fiori. Ci sta, lo dicevamo prima, la beneficenza è un'altra cosa. Ma il problema, ha spiegato Quartu, è che se ci mette soldi il Comune, si sveglia l'Unione europea: aiuti di Stato. Una vergogna? Sì. «La connessione alla rete», dice l'ex sindaco di Armungia, «è diventata importante come l'acqua e la corrente elettrica. Ma qui non c'è». Il Covid-19 ha messo la strada in discesa. In attesa di pagare il conto (gratis non c'è nulla), il pensiero va ai nostri conterranei, soprattutto ai più giovani che, in tempo di pandemia, sono doppiamente isolati. Nemmeno uno straccio di solidarietà dalla signora ministra che, quando parla di scuola, vede solo digitale. Anche per chi non ce l'ha. Ma sì, certo, forse a settembre avremmo tutti la fibra in casa, anche in Sardegna. Basta aree bianche! E lezioni a distanza per tutti! Che tristezza. A proposito, quanto peserà il buco formativo per questa generazione di studenti?

EMANUELE DESSÌ
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