S olo nell'epidemia più pazza del mondo la settimana inizia con la polemica fra tutti coloro che vogliono chiudere (ovviamente il più possibile), e finisce con la polemica tra tutti coloro che vogliono aprire. Il primo problema è che si tratta delle stesse persone, sia pure con idee diverse: solo martedì - infatti - era in corso un braccio di ferro titanico, tra il governo da un lato, e dall'altro un fronte traversale destra-sinistra delle regioni (da Attilio Fontana a Christian Solinas, a Nicola Zingaretti) per togliere e mettere i sigilli a librerie e cartolerie (negozi a bassissima intensità di frequentazione).

Tuttavia, fin da giovedì, Fontana aveva già cambiato linea annunciando la riapertura di ogni attività per il prossimo 3 maggio. Ma ieri Fontana di nuovo ha corretto il tiro: «Riapriamo solo se i medici sono d'accordo». Ma quali? Quelli che ha consultato, i lombardi, sono tutti contrari. Forse per questo in rete spopola, come una speranza, prima ancora che come una tesi, l'opinione del professor Giulio Tarro, il famoso virilogo napoletano che si è formato nella battaglia vittoriosa contro il colera (è stato candidato ad un Nobel): «Il caldo, il mare e gli anticorpi che si stanno creando - dice - spazzeranno via il coronavirus».

M agari. Il turismo intanto è in ginocchio, gli albergatori sardi protestano esponendo il drappo nero del lutto, sugli stessi pennoni dove ieri sventolavano coreograficamente le bandiere con i colori di tutto il mondo. I soldi alle imprese arrivano troppo lentamente, e spesso scremate dalle garanzie in essere: così se sulla carta pensavi di poter contare su 100mila euro, quando poi entri nella tua filiale scopri che 40mila te li tolgono perché li avevi già di fido sullo scoperto, 20mila te li sottraggono per un prestito chirografario in corso, 10mila per il plafond delle carte di credito, che 2mila è il costo le commissioni della pratica, e che alla fine in mano non ti ritrovi più nulla.

Se il Covid-19 ha rappresentato il punto di fusione per gli equilibri lesionati delle già precarie classi dirigenti italiane, adesso si avverte che la crisi di autorevolezza travolge tutti: quadri dirigenti dello Stato, sistema creditizio, intellettuali ed epidemiologi, che cambiano analisi e prescrizioni da un giorno all'altro. Tutti in queste ore sembrano inseguire gli unici due fattori che in una crisi come questa dovrebbero essere ignorati: la paura e il consenso. Tuttavia la buona stella dell'Italia continua a brillare sulle nostre teste: i numeri del contagio calano, i morti calano (anche se lentamente), i guariti migliorano. Anche le trattative nell'Unione Europea proseguono (anche quelle troppo lentamente) e il primo problema è questo: gli altri Paesi europei sono entrati nella crisi più tardi, ma ne stanno uscendo più velocemente di noi, magari correndo qualche rischio: alcuni Paesi, come la Germania, hanno risorse, terapie intensive, possibilità di indebitarsi, possono permettersi di aspettare la saga infinita degli eurogruppi. L'Italia questo tempo purtroppo non lo ha, e non ha nemmeno le risorse per comprarselo. E allora bisogna essere brutali: esiste una divisione invisibile ma profonda, in questo Paese, tra chi è stato investito dalla crisi. È una divisione che supera le ideologie e le appartenenze politiche, la storica divisione tra nord e sud, e persino quella tra classi sociali: il tema della crisi è che il prezzo che stiamo pagando non è uguale per tutti. Esiste in Italia un popolo di non garantiti che rischia di soccombere prima che la lenta carovana del sistema-Paese arrivi a destinazione. Ci sono non garantiti a tutti i livelli: non garantiti poveri, spesso sopravvissuti nel confine sottile tra lavoro nero e precarietà. Ci sono i non garantiti delle partite Iva (anche molti che fino a ieri vivevano nel benessere), e che ora non hanno sussidi né ammortizzatori. Ci sono non garantiti tra gli artigiani, tra gli ambulanti, gli operatori del turismo, dell'agricoltura e anche tra gli imprenditori, e magari - per un destino perfido - spesso sono i più esposti economicamente proprio perché i più dinamici. Oggi, nel giorno in cui scopriamo che il nostro tasso di contagio è sceso a 0.80, è bene che queste due Italie siamo solidali. Perché se i non garantiti affondano, non si salveranno neanche gli altri.

LUCA TELESE

GIORNALISTA

E AUTORE TELEVISIVO
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