S i chiama “Pandemic Emergency Purchase Programme” (Programma di acquisto di titoli contro l'emergenza della pandemia) il nuovo quantitative easing (Qe) della Bce per 750 miliardi, di cui 100 riservati all'acquisto di debito italiano, deciso dalla Bce per contenere lo smottamento dei mercati innescato dalla dichiarazione improvvida della presidente Cristine Lagarde: «Non siamo qui per chiudere gli spread».

Questa dichiarazione ha messo in evidenza non solo le ambiguità della Lagarde, che hanno causato un crollo delle borse e un'impennata dello spread, ma anche quelle di altri membri del board esecutivo della stessa Bce, come i presidenti della Bundesbank, Jens Weidman, e della Banca centrale olandese, Klaas Knot, e l'altra tedesca, Isabel Schnabel, che aveva espresso la frase incriminata poi ripresa dalla Lagarde.

Quelle ambiguità rivelano la partita politica che si sta giocando in Europa dietro la tragedia della pandemia. In certi ambienti di cui Weidman e Schnabel sono i massimi rappresentanti (la Bundesbank), così come nella Banca centrale olandese, serpeggia l'idea che questo possa essere il momento giusto in cui l'Italia potrebbe finire in un angolo.

E d essere cioè costretta ad accettare quel che sinora ha sempre rifiutato: un salvataggio da parte delle istituzioni europee da fare attraverso una ristrutturazione pilotata del debito pubblico. Gli smottamenti dei mercati provocati dalla dichiarazione della Lagarde segnalano infatti che si sta andando verso una recessione globale, resa ancora più pericolosa proprio dal collasso delle borse valori, che è la classica manifestazione dell'innesco delle recessioni. Solo un'adeguata reazione dei governi e delle banche centrali delle maggiori economie del pianeta potrebbe scongiurarla, ma la dichiarazione della Lagarde si muoveva in senso antitetico a una tale soluzione coordinata.

Certo sarebbe stato meglio per l'Italia affrontare l'emergenza senza il peso di tanti inutili bonus elettorali, dagli 80 euro a quota 100, e con un rapporto debito/Pil in calo. Come ha sostenuto Federico Fubini sul Corriere della Sera, «abbiamo sprecato troppe occasioni di farci trovare meno impreparati, ma ora dobbiamo lottare con le armi che abbiamo nella situazione data. Sono settimane di produzione ferma, mentre crollano interi settori e il governo fa la scelta giusta di sobbarcarsi buona parte delle perdite delle imprese e dei cittadini». In tali condizioni, è inevitabile che il rapporto debito/Pil è destinato a crescere ulteriormente e lo Stato avrà quindi ancora più bisogno di emettere una quantità maggiore di titoli. Perciò, le emissioni nette di nuovo debito pubblico sono destinate ad aumentare, ma con lo spread che sale saranno sempre più costose ed è qui che i guru tedeschi e olandesi aspettano al varco il governo italiano. Senza l'equivalente del “whatever it takes” di Draghi (ovvero, il sostegno senza limiti della Bce), l'Italia rischierebbe di non farcela.

Il problema da tecnico è diventato politico, perché se dovesse saltare il banco dell'Italia, salterebbe anche la moneta comune e si sfascerebbe l'intera Unione monetaria europea (Ume). E se l'Italia non può permettersi un'uscita traumatica dall'euro, neanche l'Europa può permettersi lo sfascio della moneta comune. La Lagarde ha capito l'errore commesso e ha fatto retromarcia, tuttavia il nuovo Qe è stato votato a maggioranza, con l'astensione dei rappresentanti tedeschi e olandesi. Inoltre, alla decisione della Bce si affianca quella del Meccanismo Europeo di Stabilità (MES) di riattivare le sue linee di credito precauzionale per i governi in crisi di liquidità per la pandemia da Covid-19. Oltre all'Italia, sono interessati anche Spagna, Portogallo e Grecia. L'accesso al credito del MES è una condizione per attivare, all'occorrenza, un prestito illimitato della Bce. Tuttavia, poiché ciò può avvenire solo a seguito di una preventiva “analisi di sostenibilità del debito” da parte dello stesso MES, c'è da aspettarsi che potrebbe riproporsi, da parte dei Paesi rigoristi, il ricatto della ristrutturazione pilotata.

BENIAMINO MORO

UNIVERSITÀ DI CAGLIARI
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