L a nostra vita è precipitata nell'incertezza. Ancora non abbiamo le idee chiare sul Coronavirus e sulla sua effettiva pericolosità. Sul tema devono parlare gli esperti, ed è giusto così.

Per l'economia il costo sarà rilevante ed è bene non illudersi che non sia così. Le misure di contenimento incidono infatti sulla parte più produttiva del Paese. La risposta del governo per ora è poco convincente. Gli sconti fiscali e contributivi vanno bene ma sono difficili da applicare su aree importanti: la crisi riguarda tutto il Nord d'Italia, non solo Codogno e Vo' Euganeo. E che dire delle censure alle “pratiche commerciali scorrette”, cioè ai prezzi che salgono per amuchina e mascherine? Nel 1919, Luigi Einaudi esortava ministri, direttori generali, commissari, prefetti a leggere “I promessi sposi”. Einaudi aveva a che fare con una classe dirigente che sapeva leggere e scrivere, noi quel lusso non ce l'abbiamo più, ma la sua affermazione era legata non alle vicende di Renzo e Lucia ma al dodicesimo capitolo del romanzo, nel quale Manzoni scrive che quando, in conseguenza di cattivo raccolto e sciupio dovuto alla guerra, «la penuria si fece subito sentire», assieme alla penuria arrivava «quel suo doloroso, ma salutevole come inevitabile effetto, il rincaro».

Perché il rincaro è un bene? Non certo perché ci guadagnano alcuni accaparratori ma perché, nel momento in cui il prezzo di un certo bene aumenta repentinamente, quel rincaro segnala ad altri che è il momento buono per cominciare la produzione di un bene che possa servire allo stesso scopo.

È un po' quello che è successo con l'amuchina a Milano: farmacie e supermercati si sono ingegnati in breve tempo a trovare preparati equivalenti e a metterli sugli scaffali, a un prezzo, certo, più alto di quello che avrebbero avuto due settimane fa quando nessuno ne sentiva il bisogno. Calmierando il prezzo si rischia paradossalmente di assicurarsi che gli scaffali siano destinati a rimanere vuoti.

La crisi sarà particolarmente complessa, perché è probabile aggravi un fenomeno che in certa misura era già in atto: la de-globalizzazione. Il grosso dello scambio internazionale non è dato da prodotti che raggiungono gli scaffali del supermercato, bensì da cose che servono a fare altre cose. Il fatto che l'industria automobilistica tedesca regga è essenziale per il manifatturiero del Nord Italia.

E proprio questo fenomeno - il fatto, in soldoni, che un prodotto pur apparentemente semplice è l'esito di complesse catene di cooperazione internazionale - ha avuto lo straordinario effetto di calmierare i prezzi, a vantaggio di tutti e soprattutto dei più deboli. Queste catene internazionali di cooperazione possono spezzarsi perché alcune componenti provenienti dalla Cina sono prodotte, a causa del rallentamento di quell'economia, in misura inferiore a quanto sarebbe necessario.

Come reagire? Hong Kong ha distribuito 1200 dollari a tutti i residenti per tamponare gli effetti economici del coronavirus, attraverso uno stimolo sul lato della domanda. Ma loro hanno conti pubblici in ordine e possono permettersi una operazione straordinaria senza perdere credibilità, noi no. In più, non è detto che serva.

Il problema infatti è sul lato dell'offerta, non su quello della domanda. È l'impresa che si può fermare, e non perché manca richiesta per i suoi prodotti, ma perché si perde l'accesso a fattori cruciali (“cose” ma anche persone e competenze) per realizzarli.

Forse proprio in questo momento servirebbe un grande shock a favore delle imprese: togliere le briglie che impediscono a chi può di creare ricchezza.

Si tratta del genere di riforme di cui avremmo bisogno da anni, ma che non facciamo perché hanno un costo politico concentrato nel breve (scontentare qualche gruppo di pressione) a fronte di benefici che vanno a vantaggio di una platea molto più ampia, ma sono dilazionati nel tempo.

Non le avremo neanche questa volta. Il governo si è scelto come advisor per l'emergenza un economista che canta le lodi dello Stato imprenditore perché sarebbe più lungimirante nel fare investimenti con un ritorno molto in là nel tempo e un imprenditore-economista che parla di economia neanche verde ma “blu”.

Che abbiano torto o ragione, sono esattamente le persone meno adatte a dare una mano in un periodo nel quale l'emergenza è il crescente isolamento internazionale (contate i voli cancellati dalle compagnie aeree) e il settore produttivo è sostanzialmente in stallo. Andrà a finire con gli inevitabili sussidi, ma, indipendentemente da quanto deficit in più riusciremo a fare, rischiamo di non avere toppe a sufficienza per riempire i buchi.

ALBERTO MINGARDI

DIRETTORE DELL'ISTITUTO

“BRUNO LEONI”
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