A lle considerazioni totalmente condivisibili del direttore, Emanuele Dessì, fatte nel suo editoriale di domenica scorsa sullo stato della continuità territoriale aerea regionale, mi sia consentito di aggiungere alcune riflessioni di carattere più strettamente tecnico-economico.

I termini del contendere non riguardano, nella sostanza, la formalità dell'interlocuzione della giunta sarda con la Commissione Ue (informale secondo Bruxelles, formale secondo la giunta), su cui si è concentrata l'attenzione del recente dibattito politico regionale, ma la sostanza del problema, che invece è stata lasciata più in penombra. Questa è stata sintetizzata in pillole da Michele Ruffi sull'Unione Sarda nei seguenti termini: «Da una parte l'Ue, che vuole limitare l'intervento pubblico nei trasporti aerei e ammettere solo quei “servizi minimi” contemplati nei regolamenti europei in materia; dall'altra l'amministrazione regionale, che vorrebbe assicurare la mobilità dei sardi al minor costo possibile e favorire l'accessibilità dell'Isola al resto del mondo, per sfruttare il turismo come chiave di sviluppo».

Tuttavia, anche posto in questi termini, il vero nodo della contrapposizione non appare ancora sufficientemente messo a fuoco, anzi dà l'impressione che la Regione stia combattendo una battaglia contro i burocrati di Bruxelles (la Direzione generale per i trasporti) che, sordi ai legittimi interessi della Sardegna, non vogliono riconoscere il sacrosanto diritto dei sardi alla mobilità aerea in regime di continuità territoriale. (...)

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