S 'avverte sempre di più la necessità di diffondere un clima di ottimismo in questo nostro Paese ed in questa nostra Regione avviliti e martoriati da troppe inefficienze politiche e, ancora, da continue calamità naturali. Ci vorrebbe infatti un deciso colpo di reni per superare l'asticella di quella pessimistica rassegnazione che ci trasmette una classe politica impreparata, perennemente in affanno, del tutto disattrezzata ad affrontare le difficoltà ed i pericoli di congiunture ed eventi sfavorevoli. Incapace soprattutto nel tracciare un valido percorso che consenta di superare le tortuosità del sentiero che conduce al superamento della crisi.

Qualche primo segnale di quest'esigenza lo si comincia ad intravvedere (sintomatico il movimento delle sardine), anche se non appare chiaro se si sia superata la soglia del dover essere “contro” qualcosa o qualcuno, per entrare nello spazio del voler essere “a favore” di qualcosa, di nuovo e di diverso.

D'altra parte, a questo bisogno di cambiamento mancherebbe non solo un progetto ben definito, ma anche l'intuizione di cosa veramente serva per riuscire a rigenerare ed a migliorare la cultura politica (e dei politici), arricchendola di effettive capacità e competenze oltre che di più rispettate regole etiche.

Certo, la configurazione attuale dell'insieme politico (cioè delle formazioni che compongono, ad esempio, anche il nostro Consiglio regionale) presenta, nella sua eccessiva frammentazione, non poche incoerenze ed evidenti smagliature.

D i schieramento e di proponimenti. Infatti, anche a causa dell'attuale legge elettorale, e per via della necessità di formare delle coalizioni, ai partiti tradizionali, sempre più magri, si sono uniti, come rinforzo, degli improbabili satelliti, una sorta di similclub, cioè dei gruppetti di amici e conoscenti molto utili al capo per ottenere potere e clientes.

Non è un caso che gli schieramenti siano oggi divenuti, in gran parte, una sorta di elenco anagrafico più che, come in passato, di scelte ideologiche: così non ci si sceglie più fra progressisti e conservatori, fra rossi o bianchi, ma per Tizio premier o per Caio governatore. Ed è poi questo il vulnus che ha poco per volta deculturizzato e depotenziato la politica, trasferendola nel recinto autoreferenziato di un potere fine a se stesso.

Ora, per ritrovare l'ottimismo della speranza, occorre trovare un tema forte che solleciti adesioni e susciti consenso. Ed è in questa direzione che - per rimanere nel quadro regionale - l'insularità, la battaglia per il suo riconoscimento come disvalore socio-economico, appare richiamo assai coinvolgente ed unificante. Proprio per la forza al cambiamento - culturale, politico, sociale - che contiene. Divenendo capace di trasmettere a tutti i sardi la volontà e l'ottimismo del “si può fare”, a somiglianza di quel coinvolgente “yes we can” con cui il presidente Obama avrebbe ridato voglia e coraggio ad un'America intristita dalla recessione.

In Sardegna s'avverte un forte bisogno di avviare una mobilitazione popolare che si raccolga attorno a quell'impegno. Rendendola forte attraverso un progetto politico che trasformi i disvalori d'oggi in valori, le incertezze in certezze, le paure in coraggio. Occorrerebbe peraltro il saper andare oltre il facile e suadente appeal del richiamo all'azione, costruendovi attorno, ed a seguire, un insieme di opzioni che riguardino il risveglio di quest'isola da tempo addormentata nel suo passato. Perché il dover ridare peso economico ad un'agricoltura infragilita e demotivata, ad un'industria malaticcia e depressa, ad un turismo invecchiato precocemente e monocorde, e così via, appare obbligo prima ancora che impegno. Perché - è risaputo - la buona salute e la vitalità dell'economia favoriscono crescita, serenità e benessere generali e diffusi.

Certo, la Sardegna è stata troppo lungamente un angolo morto della storia, come hanno sostenuto gli storici degli Annales, ed ha mostrato molta diffidenza al saper vivere capitalisticamente, come gli chiedeva già nel 1914 il giovane Attilio Deffenu. Non a caso il triste declino di oggi appare sviluppo del sottosviluppo e l'isolamento la facile vittoria della geografia. Per questo il grido e l'impegno coraggioso d'andare “oltre l'insularità” può e deve rappresentare la grande vittoria dei sardi sulla geografia e sul sottosviluppo.

PAOLO FADDA

STORICO E SCRITTORE
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