L unedì ho fatto una scoperta: sono un razzista. Stessa amara considerazione han dovuto fare, riguardo a se stessi, tutti i sardi, non solo i sedicimila che erano allo stadio per assistere a Cagliari-Inter. L'hanno certificato, un po' alla spiccia, senza nemmeno un processo sommario, telegiornali nazionali e “giornaloni” continentali che sul caso Lukaku hanno gonfiato la realtà per far bella figura.

Quanti erano i tifosi che hanno fischiato o ululato? Venti, trenta? Non si sa. L'hanno fatto per disturbare l'esecuzione di un rigore contestato o per dileggiare il centravanti avversario di pelle nera? Prendiamo per buona la seconda ipotesi. Ma basta ciò per affibbiare un'etichetta infamante a tutto un popolo, a scambiare l'ignoranza per indole razzista? Sull'argomento si sono già espressi in modo eccellente il direttore e l'editore. Ci torno su solo perché ho la sgradevole sensazione che stiamo andando verso una deriva incontrollata e paradossale del politicamente corretto.

Personalmente ne ho avuto le avvisaglie tempo fa quando una mia amica (per inciso: colta e preparatissima) mi ha inviato un sms chiedendomi «chi è Tacitus?». Contestava l'articolo del nostro corsivista col quale, pienamente a ragione, ironizzava sul quel sindaco che aveva impartito disposizioni affinché gli impiegati, nel redigere le scartoffie, usassero il più possibile il genere neutro per non urtare la sensibilità altrui. Discussi a lungo con lei, senza minimamente convincerla. (...)

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