S criveva William Shakespeare che «la vita è una favola narrata da uno sciocco, piena di strepito e di furore, ma senza significato alcuno». Viene in mente questo passo del grande drammaturgo inglese guardando ai fatti della Sardegna e alle sue macroscopiche incongruenze. A furia di ripetere che siamo la Cenerentola d'Italia nessuno lo mette più in dubbio e - soprattutto - pochi fanno mostra di volersi ribellare.

Prendiamo l'annosa questione della metanizzazione nell'Isola che dispensa, a intervalli regolari, nuovi e sconcertanti capitoli. Ogni volta che il traguardo sembra a portata di mano spuntano altri ostacoli che ricacciano indietro il progetto, come in un perverso e frustrante gioco dell'oca nel quale solo noi sardi - guarda caso - ritorniamo sempre alla casella di partenza. Gli archivi de L'Unione Sarda abbondano di articoli e inchieste sulla materia. In condizioni normali non avremmo nemmeno dovuto parlarne. Nel resto d'Italia, infatti, il metano è semplicemente un diritto acquisito: avere cioè nelle case e a disposizione delle attività produttive quel tipo di energia pulita che consente un risparmio medio sulla bolletta energetica di circa il 30 per cento. E invece dal primo progetto, poi abortito, del Galsi (il gasdotto marino che avrebbe dovuto portare il gas algerino nell'Italia continentale attraverso la Sardegna) sono passati 18 anni e il nostro giornale ha dovuto aggiornare costantemente il diario delle beffe.

F ino ai giorni nostri, nei quali Mauro Pili, con inchieste tanto puntuali quanto disarmanti per le conclusioni alle quali è costretto ad arrivare, ci aggiorna sul pantano maleodorante di piccoli e grandi interessi che impediscono la realizzazione della dorsale. Già molti anni fa si era giustamente puntato al collegamento al Piano energetico nazionale e ad una condotta interrata che trasportasse il metano dal sud al nord della nostra regione. Erano iniziati i lavori e i concessionari dei bacini avevano investito parecchie decine di milioni. La Regione tentennò parecchio ma poi, anche sotto la spinta dei sindacati, che intravedevano correttamente i benefici per i cittadini e un'occasione di lavoro per tante piccole imprese isolane, sembrò sposare la causa. Era il gennaio scorso e l'ostacolo principale, oltre alle mire del premier Conte che pareva prediligere investimenti per un fantomatico elettrodotto fra Campania, Sicilia e Sardegna, divenne quello delle tariffe. L'Arera, l'Authority che in teoria dovrebbe garantire un equo funzionamento del mercato dell'energia, ipotizzò per la Sardegna un ambito unico, ossia tariffe maggiorate rispetto a quelle praticate nel resto della penisola. In barba agli accordi Stato-Regione, l'Arera iniziò così a delineare per noi sardi la trappola «non ritenendo giustificata la diffusione

generalizzata del servizio che comporterebbe - scriveva l'Autorità - aggravi nel costo del soddisfacimento

dei bisogni del Paese». In sostanza: volete il metano? A noi costa troppo, arrangiatevi.

Nelle ultime settimane il quadro sembra addirittura peggiorato. Nella ricerca commissionata dall'Arera alla Società Ricerca Sistema Energetici, evidentemente ben ammaestrata, si spinge nemmeno troppo velatamente per il progetto dell'Italgas che prevede l'alimentazione delle reti con il trasporto su carri bombolai sino ai depositi dotati di impianto di rigassificazione. Niente dorsale, dunque, perché le utenze sarebbero troppo poche e le industrie energivore del Sulcis (ex Alcoa e ed Eurallumina) sono chiuse, pertanto l'investimento non è giustificato.

Il solito circolo vizioso, motivazioni che non tengono conto dei diritti sanciti dalla Costituzione e nemmeno della logica. Le industrie non restano in Sardegna anche perchè sono troppo alti i costi energetici e chi dovrebbe porvi rimedio ne approfitta per fornire assist alle lobby amiche, mortificando non solo le aspettative delle grandi aziende ma anche delle tante piccole imprese che col metano avrebbero di chi rallegrarsi. Se si ragiona solo nell'ottica del rapporto costi-benefici, ha chiosato l'ottimo Giorgio Asuni in un articolo che pubblichiamo all'interno, non sarebbe mai arrivata nemmeno la luce elettrica nei piccoli paesini.

Forse è noioso ripeterlo ma chi ci governa dovrebbe promuovere un'ideale chiamata alla lotta sui fondamentali temi di sviluppo dell'Isola, di cui la questione energetica fa parte. Un appello a tutti i politici, di maggioranza e opposizione, in Consiglio regionale o in Parlamento, perché non pensino solo agli affari di piccolo cabotaggio (Asl, nuove Province, moltiplicazione di poltrone) e vogliano invece dedicare il proprio impegno al futuro della nostra terra.

MASSIMO CRIVELLI
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