I n uno dei romanzi più belli e conosciuti di Joseph Conrad il protagonista è un marinaio che a Singapore assume il comando di una nave in circostanze drammatiche. Non più giovanissimo, messo improvvisamente di fronte alla propria indipendenza e all'essere da solo al cospetto del mondo, egli riesce, pur tra mille ostacoli, a compiere la missione, attraversando “La linea d'ombra” - il titolo del lungo racconto - che separa la giovinezza dalla maturità.

La lettura ritorna in mente al pensiero di tutti i giovani sardi (migliaia? decine di migliaia?) che sono costretti a vivere questo momento cruciale della propria esistenza in totale assenza di prospettive. Per molti figli della nostra Sardegna gli anni trascorrono invano. Restano prigionieri della disoccupazione o immersi nel limbo di lavoretti precari. I più coraggiosi, o quelli che riescono ad avere un sostegno economico in famiglia, quella “linea d'ombra” vanno a cercare d'oltrepassarla da un'altra parte, in Italia o all'estero, comunque lontano dall'Isola, dalla loro terra, dai propri affetti.

È questo l'aspetto più avvilente di una situazione alla quale colpevolmente, un po' tutti, rischiamo di assuefarci. Quasi non fanno più notizia i tragici numeri economici del nostro sottosviluppo, la piaga endemica dei trasporti, la crisi dell'agricoltura, la sanità allo sfascio, lo spopolamento delle zone interne, la lenta agonia di quel poco che è rimasto del comparto industriale.

C hi si aspettava che il Covid-19 avrebbe costretto la classe politica a serrare le fila, a prodursi in uno scatto d'orgoglio, ad ideare un piano di nuova Rinascita, a mettere in campo idee e vere risorse, non può che essere francamente deluso.

In questa estate vissuta quasi in apnea, fra un'emergenza e il timore della prossima (speriamo non legata alla pandemia, ma sicuramente ci sarà quella economica), tutte le energie sembrano assorbite dall'ennesima riforma sanitaria, che comporterà il rifrullare le Asl e relative cariche dirigenziali, la riesumazione di vecchie Province già bocciate da un referendum, la creazione di una Città metropolitana di Sassari che suona, ad essere benevoli, come un bizzarro paradosso. Tutti più o meno d'accordo, maggioranza e opposizione, sulla spinta di interessi talmente localistici da rendere legittimo il sospetto che ciò servirà soltanto a moltiplicare le poltrone e far lievitare piccole fette di sottogoverno.

Nel frattempo il nostro giornale continua, tramite le inchieste di Mauro Pili, a mettere in luce lo scandaloso assalto alle nostre debolezze di sardi “dromius”. Raccontiamo di guru dell'eolico che progettano di far miliardi in cambio di poche briciole, di società sotto la lente della magistratura che pensano di lucrare qui con i rifiuti speciali di altre regioni, di apparati dello Stato che decidono di mandarci in regalo nelle nostre carceri la “crema” della mafia e della criminalità organizzata. Un balzo all'indietro di 50 anni quando “ti sbatto in Sardegna” non era solo una locuzione ma un fatto assodato.

Siamo passati dal dibattito sulle mascherine e il passaporto sanitario al silenzio assordante sui malati affetti da gravi patologie che non ricevono più assistenza pubblica e su tutto ciò che ci piove addosso. Sulle spiagge di un turismo a scartamento ridotto (ci leccheremo le ferite in autunno) arrivano però clandestini algerini e tunisini che viaggiano su rotte ormai consolidate, le uniche non soggette allo scandalo della cosiddetta continuità territoriale.

In quelle terre che dovremmo proteggere e valorizzare, che dovrebbero servire a favorire il rilancio di produzioni locali, in quel sacro suolo dove resiste - a dispetto di tutto - un po' della nostra identità, personaggi senza scrupoli barattano piatti di lenticchie consentendo di trasformarlo in una pattumiera nazionale.

“Venghino, signori, venghino”. Offriamo di tutto a tutti. Tranne che un futuro ai nostri figli.

MASSIMO CRIVELLI
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