L a decisione del giudice di Agrigento sul caso Sea Watch non fa certamente aumentare né la certezza del diritto, né la fiducia nella giustizia. Anzi i cittadini restano sconcertati di fronte ad una decisione che ritiene legittimo il comportamento dell'ardita capitana Carola, che disobbedendo ai divieti, è entrata prima nelle acque territoriali italiane e poi con la forza anche nel porto di Lampedusa, rischiando di affondare una motovedetta della Guardia di Finanza con i cinque finanzieri a bordo, e sbarcando 40 migranti che aveva raccolto nelle acque di ricerca e soccorso libiche.

Osservo solo che a me, come difensore, è capitato spesso di assistere poveri malcapitati che, per una banale discussione con un vigile urbano, sono stati condannati proprio per resistenza a pubblico ufficiale a due o tre anni di reclusione, senza aver posto in pericolo la vita di nessuno. In questa vicenda alla capitana Carola, secondo la legge del mare e quella nazionale, erano stati contestati diversi reati, anzitutto la resistenza a pubblico ufficiale, tutti però ritenuti dal giudice per le indagini preliminari giustificati dall'adempimento del dovere di salvare i naufraghi, per cui l'arresto in flagranza non è stato convalidato e nessuna misura cautelare è stata applicata. Naturalmente è prevedibile che il Pubblico ministero impugnerà le decisioni del giudice e non è escluso un loro ribaltamento.

È chiaro che il soccorso in mare è un dovere morale prima ancora che giuridico ed è imposto da diversi trattati internazionali, ratificati dall'Italia. (...)

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