S ono passati alcuni anni ormai dal meraviglioso discorso di Pepe Mujica, presidente uruguaiano, alle Nazioni Unite. E ancora riecheggia quella sua insistente domanda: perché oggi una lampadina dura in media un anno quando a Livermore, in California, la celebre lampadina da 4 watt dei vigili del fuoco è accesa dal 1901?

Settant'anni sono invece passati dalla scomparsa dei fratelli Collyer, agiati newyorkesi ritrovati cadaveri, nella loro casa, sotto 180 tonnellate di oggetti compulsivamente accumulati nel tempo. Ai Collyer sono stati dedicati alcuni romanzi, oltre al nome della malattia: la disposofobia, nota anche come sindrome di Collyer.

Cos'hanno in comune le due cose? Apparentemente nulla. La prima evoca la cosiddetta obsolescenza programmata: quella del cartello “Phoebus” che, già nel 1924, portò una standardizzazione nella produzione delle lampadine ad incandescenza al fine di limitarne la vita a circa 1.000 ore di esercizio. Qualcosa di simile è avvenuto per le calze da donna: quando la DuPont capì che il nylon era troppo resistente, i suoi ricercatori studiarono come fare maggiori profitti indebolendo la fibra. Doveva smagliarsi più rapidamente. Arcinoto, da ultimo, il caso Apple: la batteria dell'iPhone doveva scaricarsi rapidamente per essere sostituita.

La seconda vicenda: quella dei fratelli Collyer riflette invece come la dimensione degli oggetti di consumo può condizionare i comportamenti umani. (...)

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